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niente dimissioni, evitato il rimpasto


«Guardami negli occhi e dimmi la verità». Lontano dalle telecamere, quasi in confessionale. Senza fretta, ma non senza (molta) rabbia. Con una forse inattesa apertura di credito e una invece attesissima e immutata diffidenza, infine Giorgia Meloni consegna a Gennaro Sangiuliano solo un avviso ai naviganti: da qui in poi non sono più ammessi errori.

Nonostante si rincorrano per tutto il pomeriggio le voci di dimissioni richieste ma non ottenute dalla premier (oppure solo prospettate), Meloni accorda al ministro della Cultura una sorta di fiducia a tempo, legata alla sua capacità di portare a termine il G7 di Pompei senza ulteriori intoppi e, soprattutto, all’assenza di nuovi elementi che lo “incastrino” su ruolo e spese sostenute dal ministero per la quasi consulente Maria Rosaria Boccia. «E questo oggi non può dirlo nessuno» confida chi ha avuto modo di confrontarsi con la presidente del Consiglio dopo più di un’ora di un colloquio che, a palazzo Chigi, si racconta come «molto accalorato».

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I toni, insomma, si sono alzati eccome. Al punto che a crescere in maniera del tutto incontrollata sono stati pure i sospetti che Meloni, vista l’ostinazione del ministro nel ribadire sempre e comunque la stessa linea difensiva, stia tessendo una personalissima tela utile prima a smarcarla il più possibile da Sangiuliano dopo averlo difeso in diretta tv, poi a relativizzare una vicenda che rischia di fare da detonatore per altre grane dell’esecutivo. Se «un avviso di garanzia» non comporta le «dimissioni automatiche di un ministro», come spiegò un anno fa la premier parlando delle vicende giudiziarie di Daniela Santanché, così quelle che oggi sono solo accuse non provate non possono spingerla a chiedere al ministro di liberare la poltrona. Anche perché — e questa è una convinzione forte nell’esecutivo — «a quel punto varrebbe tutto» e si aprirebbe la finestra per un rimpasto di difficile gestione.

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LA DIFESA

Prima di far rotolare una testa, Meloni studia margini e possibilità di difesa. Mentre palazzo Chigi è illuminato dalla luce sinistra dei lampi, chiede quindi al ministro di ricostruire passo passo la vicenda. Si accerta che il ministro possa realmente dimostrare che «neanche un euro» di soldi pubblici sono stati spesi per Boccia. Né che la «signora» abbia avuto accesso a documenti riservati. Senza accontentarsi però, come forse ha fatto lunedì prima di schierarsi su Rete4, Meloni vuole sapere «cosa c’è dietro la storia». Nei «modi spicci» che la contraddistinguono quando c’è un problema da risolvere, la premier pretende cioè di essere messa a parte di tutti i dettagli. Si cercano tracce di eventuali spese ingiustificabili, il gossip — non senza difficoltà — resta fuori dalla stanza.

Le garanzie assolute scandite dal ministro (arrivato abbattuto ma preparato all’incontro) e gli spergiuri legati alla sua «totale buonafede» hanno fatto il resto. Per ora si va avanti più o meno così. Con il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari chiamato a fare da commissario ombra del ministro. L’attenzione resta altissima. A dimostrarlo pure l’assenza di un commento della presidenza del Consiglio al faccia a faccia. L’unico resoconto disponibile è quello offerto ieri dal ministro della Cultura. La versione di Giorgia invece, arriverà col tempo. Magari dopo il G7.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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