24.05.2025
12 Street, Rome City, Italy
Politics

«Nella Commissione un nostro vicepresidente esecutivo»


I nomi, ormai, sono più o meno tutti e ventisette sul tavolo. Anche se solo informalmente. Eppure per le deleghe dei nuovi Commissari europei la discussione è ancora in buona parte da impostare. I contatti tra Ursula von der Leyen e i leader europei — Giorgia Meloni compresa — in questa fase sono tornati a bloccarsi alla riflessione precedente: vicepresidenza esecutiva sì o vicepresidenza esecutiva no. Una riserva, questa, ancora non sciolta dalla presidente della Commissione, che secondo i suoi fedelissimi motiva l’attendismo meloniano.

LA LETTERA
Nonostante ci sia tra gli alleati chi comincia a rumoreggiare senza comprendere la strategia della premier, Meloni è infatti determinata a sfruttare fino all’ultimo istante utile (la lettera con l’indicazione formale deve essere recapitata a rue de Berlaymont entro il 31 agosto) per continuare a trattare e strappare condizioni migliori. Anche perché se alla fine ci fossero davvero delle vicepresidenze esecutive e non ve ne fosse una assegnata all’Italia, per Roma «si apre un problema politico impossibile da ignorare».

La buona riuscita del tentativo di ottenere un pacchetto di deleghe significativo come Pnrr e Coesione — al di là del portafogli da quasi mille miliardi di euro che porta in dote — sarebbe «vanificato» qualora vi fosse un vicepresidente “esterno”. Uno scenario temuto da Roma ma, sperano, lontano dal punto di caduta che VdL renderà noto la seconda settimana di settembre. Chi conosce bene la politica tedesca del resto, garantisce che la «Ursula vista nei primi sei mesi di quest’anno, alla ricerca di consenso, sarà molto diversa da quella spregiudicata che delineerà la Commissione».

Una speranza utile a disinnescare i tentativi di un peso massimo del Ppe, il polacco Donald Tusk, che starebbe provando a convincere la collega di partito ad assegnargli la vicepresidenza esecutiva al Bilancio. Mossa che potrebbe fagocitare la delega a Pnrr e Coesione a cui punta l’Italia. Pressioni di questo tipo del resto sono arrivate a Bruxelles anche dal liberale Emmanuel Macron e dal socialista Pedro Sanchéz. Un fronte comune che Meloni spera di disarticolare attraverso il rapporto personale stabilito con Ursula e la consapevolezza di aver messo sul tavolo una carta potenzialmente vincente. Fitto è stimato dalla politica tedesca al punto che, raccontano fonti autorevoli, sarebbe stata la stessa VdL a suggerire alla premier una sua indicazione.

Intanto per ampliare al massimo il sostegno interno alla candidatura, al di là dell’approvazione politica già ottenuta da Matteo Salvini e Antonio Tajani, il nome sarà sottoposto al primo cdm utile. Una condivisione propedeutica ad evitare spaccature successive. Ovvero sul chi dovrebbe raccogliere l’eredità del ministro che oggi copre ben quattro caselle: Affari europei, Pnrr, Coesione e Sud.

L’EREDITÀ
Le possibilità sono molteplici e vanno dall’ipotesi di spacchettare del tutto la maxi-delega indicando diversi nuovi sottosegretari a quella di ridimensionarla appena, per poi affidarla ad un tecnico. Posto che la riserva non verrà sciolta prima di novembre (quando cioè Fitto, salvo stravolgimenti, prenderebbe possesso del suo nuovo ufficio a Bruxelles) in caso di spacchettamento non è escluso che sia Meloni stessa ad intestarsi alcune delle deleghe. Su tutte, spiega chi lavora gomito a gomito con la premier, esiste un’ipotesi di lavoro che la porterebbe a tenere a palazzo Chigi gli Affari europei. In questo modo non è escluso che il “blocco” restante, composto dalla parte più pesante del portafogli, possa finire con l’essere destinato ad una «figura terza» rispetto al partito. Una mossa, anche in questo caso, di duplice valenza. Un “tecnico” avrebbe il pregio sia di mettere a riparo il centrodestra dalle recriminazioni politiche di Lega e Forza Italia interessati ad ampliare il proprio raggio d’azione, sia di offrire una sorta di paracadute qualora il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovesse finire con il non marciare con il passo atteso. Se è vero che Fitto sarebbe chiamato a dare una mano anche da Bruxelles, lo è anche che quest’ultima sarebbe una via d’uscita politicamente comoda nel caso in cui al 2026 le percentuali di completamento dei progetti del Pnrr non sorridessero a Roma.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Leave feedback about this

  • Quality
  • Price
  • Service
[an error occurred while processing the directive]