Economy

«Ne manca uno su due»


In Italia più di 8 laureati su 10 trovano lavoro, per i diplomati invece l’aspettativa di avere un impiego scende di ben 11 punti percentuali. È dunque evidente che il titolo di studio ha una decisa rilevanza sul mercato del lavoro eppure in Italia i laureati sono ancora troppo pochi, rispetto alla media europea, e le imprese faticano a trovare personale specializzato. Manca infatti all’appello addirittura un laureato su due, soprattutto nelle materie tecnico scientifiche.

IL GAP

Il rapporto dell’Istat “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali” fornisce una fotografia dettagliata del rapporto che c’è tra titolo di studio e mondo lavoro: nel 2023, considerando la fascia di età adulta compresa quindi tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è pari all’84,3%, contro il tasso di occupazione dei diplomati che si ferma al 73,3%. Quindi le chance di lavorare sono ben più alte con un titolo di studio di terzo livello. Osservando i più giovani, quindi restringendo la fascia di età agli under35, il gap degli 11 punti percentuali schizza a 15,7: i giovani fino a 35 anni, che hanno conseguito il titolo di studio da uno a tre anni prima, trovano lavoro nel 75,4% dei casi con la laurea, nel 59,7% con il diploma. Investire sulla laurea, dunque, porta i suoi frutti.

Peccato che in Italia siano ancora troppo poche le persone che riescono ad arrivare al titolo di studio terziario: nel 2023, infatti, la quota di giovani compresi tra i 25 e i 34 anni con una laurea ha raggiunto il 30,6%. Si tratta di un dato in crescita rispetto al 2022, quando si fermava al 29,2%, ma non ancora sufficiente visto che la media europea resta ben lontana al 43,1%. È importante considerare anche che in Europa la media si sta alzando, il trend è positivo visto che nel 2022 era al 42%.

L’Italia rischia quindi di restare sempre più indietro. Ed è un rischio, anche per l’economia e le imprese che non trovano personale specializzato negli ambiti richiesti. Unioncamere ha infatti analizzato le richieste del mondo delle imprese e le previsioni di contratto per arrivare alla conclusione che, nel 2023, un laureato su due è introvabile. I profili più cercati e mancanti provengono dall’ambito Stem, vale a dire dai corsi di lauree scientifiche, tecniche, ingegneristiche e matematiche.

I laureati più cercati? Ingegneri, medici e paramedici e scientifici. Nel 2023 le imprese italiane dell’industria e dei servizi hanno pianificato di assumere oltre 768mila laureati, pari al 13,9% del totale dei 5,5 milioni di contratti di lavoro programmati, ma le imprese hanno avuto difficoltà a trovare 376mila figure. Praticamente la metà. L’indirizzo economico è il corso di laurea più richiesto dalle imprese con 223mila contratti programmati, seguito dall’insieme degli indirizzi di ingegneria per un 162mila profili tra cui 53mila laureati in ingegneria industriale, 49mila in ingegneria civile e architettura, 45mila in ingegneria elettronica e dell’informazione e 15mila in altri indirizzi di ingegneria.

Tra i più richiesti ci sono anche gli insegnanti per 117mila unità, i laureati in ambito sanitario e paramedico con 62mila profili e in ambito scientifico-matematico-fisico-informatico con 56mila contratti previsti. Si tratta quindi di previsioni utili per scegliere il percorso scolastico e formativo degli studenti, soprattutto in vista della scelta universitario post diploma.

LA DIFFERENZA

Nell’indagine Istat si rileva però che esiste ancora una forte differenza tra i figli di genitori laureati e quelli che, invece, in famiglia non hanno neanche una laurea. La speranza nell’ascensore sociale, in sostanza, resta delusa ancora una volta, visto che quando i genitori hanno un basso livello di istruzione, infatti, quasi un quarto dei giovani abbandona precocemente gli studi e poco più del 10% raggiunge il titolo terziario. Se invece almeno un genitore è laureato, solo il 2% lascia gli studi e circa il 70% arriva alla laurea. Un’enorme differenza.

Così come resta negativo il gap tra uomini e donne laureate: in Italia le donne sono mediamente più istruite degli uomini ma nel lavoro questa differenza non si nota, anzi. Il 24,9% delle donne possiede un titolo terziario contro il 18,3% degli uomini eppure il tasso di occupazione femminile si ferma al 59%, contro il 79,3% di quello maschile. La differenza di genere tuttavia si assottiglia con l’aumentare del livello di istruzione: il divario occupazionale è di 32,3 punti percentuali tra chi possiede un titolo di studio basso, scende a 21,6 punti per i diplomati e si riduce a 6,9 punti per i laureati.

Una buona notizia arriva invece dai Neet, i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, che nel 2023 rappresentano il 16,1%, in calo rispetto al 19% del 2022 e al 23,1% del 2021. Ma ancora non basta: anche in questo caso l’Italia si posiziona al di sopra della media europea, ferma all’11,2%.

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