18.06.2025
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Politics

né con l’Iran, né con Bibi


LO SCENARIO

ROMA De-escalation: torna più volte a usare questa parola, Antonio Tajani, mentre le opposizioni lo incalzano a chiarire la posizione del governo sui raid israeliani in Iran e gli lanciano accuse di «ambiguità». Per il ministro degli Esteri è questa, la de-escalation tra gli ayatollah e

Bibi Netanyahu, l’unica linea sostenuta dall’Italia, e «concordata» con i ministri degli esteri di Regno Unito, Francia e Germania. Ma per la leader del Partito democratico, Elly Schlein — che pure «non ha mai nutrito simpatie verso il regime di Teheran» — il premier israeliano «va fermato» perché rischia di destabilizzare la regione, e portare a «un conflitto globale», con ripercussioni «imprevedibili». I due ne hanno riparlato anche a margine dell’informativa che ieri — a ventiquattr’ore dalla richiesta delle opposizioni — il numero uno della Farnesina ha tenuto nell’Aula dei gruppi parlamentari. «Non si può dire che Netanyahu non abbia sbagliato», la sostanza delle parole consegnate dalla leader dem a Tajani, che avrebbe rilanciato l’invito all’unità. Uno scambio di vedute preceduto dalla telefonata di venerdì e che rientra nel rapporto di confronto franco già instaurato ai tempi di Bruxelles, quando Schlein era europarlamentare.

L’INFORMATIVA

L’equilibrio che il ministro sceglie per il suo intervento è, d’altronde, delicatissimo. Oltre alla de-escalation, per Tajani c’è «il sacrosanto diritto di Israele» di «difendere i propri cittadini, «di fronte a una minaccia esistenziale». E secondo l’intelligence israeliana più che concreta: «In meno di sei mesi — ha riferito il leader azzurro — l’Iran avrebbe potuto disporre di 10 bombe atomiche, e di oltre 2000 missili per poterle lanciare, verso Israele e non solo». L’attacco di Israele alle strutture nucleari israeliane, secondo quanto riportato dal direttore dell’Agenzia Onu per il Nucleare, Rafael Grossi, non avrebbe avuto un impatto radiologico esterno, ma avrebbe comportato «una contaminazione radiologica e chimica all’interno degli impianti». Quella di Grossi non è stata l’unica chiamata che ha fatto squillare la cornetta della Farnesina, bollente nelle ultime ore. Ai parlamentari, Tajani ha confermato di aver parlato con gli omologhi di Israele e Iran, chiedendo al primo di fermare gli attacchi e al secondo di non andare oltre con le reazioni. Dopo il confronto con gli omologhi europei, prima di entrare in Aula, la telefonata con il primo ministro palestinese Mustafa, che ha riportato la «gratitudine dell’Autorità palestinese» per le iniziative umanitarie intraprese a favore della popolazione palestinese: «Il cessate il fuoco a Gaza è un passaggio cruciale». E pure lo scambio con il ministro degli Esteri dell’Oman, Al Busaidi, con cui in questi mesi l’Italia ha mantenuto uno stretto raccordo per facilitare il dialogo tra Stati Uniti e Iran. Con l’augurio di Tajani — caduto nel vuoto nel corso della giornata — che oggi si potesse tenere a Muscat la sesta riunione tra Teheran e States.

LE POLEMICHE

Sono molti, però, tra le file dell’opposizione, a puntare il dito contro le dichiarazioni del ministro, che aveva detto nei giorni scorsi che non c’era evidenza di un attacco imminente, mentre per il titolare della Difesa, Guido Crosetto, il governo «si aspettava questo scenario». Accuse di «discrepanza» respinte da Tajani, visto che «non avevamo notizie di un attacco immediato», nonostante il pericolo fosse imminente. I rimbrotti del centrodestra, invece, sono stati tutti per le assenze in Aula di alcuni dei colleghi della minoranza che avevano proposto l’informativa urgenza. Matteo Renzi e Giuseppe Conte in testa. Che, pure a Salerno per una manifestazione, ha subito replicato: «Il M5S c’era, e l’ha seguita sia in presenza che in collegamento streaming», e aggiungendo che l’intervento del vicepremier è parso «contraddittorio e ambiguo». Tra i più numerosi, proprio gli azzurri con cui il ministro ha avuto un confronto, sempre a margine dell’informativa. Sedute nelle prime file anche la ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati e quello per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, dell’idea che l’intervento in Parlamento abbia segnato «un punto fermo, riaffermando il ruolo centrale dell’Italia nel favorire una de-escalation».

Val. Pig.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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