Da falco norvegese ad «un Cirino Pomicino qualsiasi». Dalle parti di palazzo Chigi, ma pure a via XX Settembre e alla Farnesina, non è andata per niente giù la decisione di Jens Stoltenberg di nominare lo spagnolo Javier Colomina rappresentante speciale della Nato per i rapporti con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.
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Un po’ come per il bis di Ursula von der Leyen — per inciso, la nomina precede di un giorno il mancato sostegno all’Europarlamento di FdI e quindi le due vicende sembrerebbero scollegate — Giorgia Meloni e il suo governo ne fanno infatti una questione «di merito e di metodo», per di più su una carica che è stata istituita anche grazie al pressing italiano.
Tant’è che le «forti perplessità» lasciate trapelare alla stampa nel pomeriggio di ieri, sono state anticipate dalle proteste formali dei delegati italiani nel quartier generale della Nato a Bruxelles, con l’ambasciatore Marco Peronaci che ha scritto una lettera (riportata dal Foglio) in cui sottolinea «grande sorpresa e disappunto» per una scelta comunicata al Consiglio del Nord Atlantico di martedì scorso, dopo che una raffica di nomine voluta dal segretario generale uscente aveva già suscitato malumori tra molti degli alleati.
L’INDICAZIONE
Le remore italiane riguardano innanzitutto un’indicazione da inviato «personale» che arriva a due mesi dalla scadenza del mandato del segretario generale dell’Alleanza norvegese. «Come un Cirino Pomicino qualsiasi» ironizzano appunto ai vertici dell’esecutivo, Stoltenberg si è lasciato andare ad una serie di nomine che «non hanno né capo né coda». Trattandosi di un’indicazione ad personam infatti, lo spagnolo Colomina resterà in carica solo fino al primo ottobre, giorno in cui il segretario generale norvegese si avvicenderà con l’ex primo ministro olandese Mark Rutte, a meno che quest’ultimo — liberale e considerato vicino al francese Emmanuel Macron — non decida di confermarlo. L’idea spagnola in pratica è dimostrare in questa primissima fase la bontà della nomina del suo uomo, bruciando sul tempo chi, come Meloni, aveva concentrato il suo pressing su Rutte.
Una scelta «poco seria» attaccano fonti diplomatiche nostrane, che «rischia di sminuire» una carica che la stessa Meloni aveva sollecitato, con un nuovo ruolo e con portafoglio, non solo indicandola come «una priorità» ma soprattutto — appena la scorsa settimana al vertice della Nato a Washington — indicando almeno tre nomi per il ruolo. «Eccellenti candidati» spiegò il ministro degli Esteri Antonio Tajani, alludendo con ogni probabilità anche ad Elisabetta Belloni, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e sherpa per il G7 considerata in corsa anche per un ruolo alla Commissione Ue, per cui in realtà alcuni tra i più navigati esperti di cose militari al governo, nutrivano poche speranze. Il motivo? Appena pochi mesi fa il Capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, è stato indicato come chairman del Comitato Militare dell’Alleanza Atlantica.
LO SPRINT
Lo sprint di Stoltenberg è in ogni caso visto come un dito nell’occhio all’Italia. Non tanto per un’evidente rivalità su cui va spingendosi il rapporto con la Spagna anche in ambito extr-calcistico (appena pochi mesi fa Nadia Calviño ha soffiato all’Italia la presidenza della Bei), quanto per più di qualche perplessità su Colomina, valutato come «inadatto» a ricoprire per primo la poltrona di inviato per il Sud dell’Alleanza. Un ruolo strategico che è stato pensato per provare ad arginare l’instabilità dilagante nel Nord del Continente, limitare gli effetti del cambiamento climatico, controllare la presenza russa nell’area nel Sahel e nei Paesi affacciati nel Mediterraneo, le attività di gruppi terroristici o di trafficanti di esseri umani. Tutte questioni che l’Italia ha dimostrato di avere a cuore più di chiunque altro, provando a mettere in piedi il Piano Mattei e spingendo la scorsa legislatura europea su posizioni molto simili alle proprie per quanto riguarda le migrazioni e la vicinanza energetica, con tanto di accordi tra Bruxelles e diversi dei Paesi nordafricani.
Tutti fattori che non fanno altro che incrementare la stizza di Meloni nei confronti del «norvegese da prima Repubblica» e di un «sistema di potere» (così lo definiscono accanto alla premier) che negli ultimi mesi ha iniziato a mostrarsi sempre più intransigente nei confronti del governo italiano e del suo desiderio di provare a recitare un ruolo di prim’ordine.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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