La Russia sta mettendo toppe ovunque. Gli attacchi degli ucraini con i droni sulle raffinerie di petrolio dell’hinterland russo stanno sortendo l’effetto desiderato: pur di non dichiarare il collasso dell’intero mercato del carburante, sono arrivati ad attingere alle riserve accumulate negli anni. Le produzioni, infatti, hanno subito una lieve flessione su base annua, ‘solo’ il 3% in meno rispetto al 2024, ma per farlo hanno dovuto intaccare il tesoretto di Mosca. È la mossa disperata di chi sa di aver perso troppo.
Gli attacchi ucraini
Gli attacchi ucraini nel cuore profondo del Cremlino, fino a 2.000 km oltre il confine, stanno andando avanti ormai da mesi. Kiev aveva iniziato a direzionare i suoi droni sulle raffinerie nei primi mesi dell’anno corrente, ma è soltanto da agosto che la tattica si è trasformata nella principale strategia dell’offensiva ucraina. E gli attacchi si sono intensificati sempre più, per cercare di paralizzare la principale fonte di denaro con cui Mosca finanzia l’invasione dell’Ucraina. E infatti, tra attività manutenzione programmata e incursioni ucraini, è stato messo fuori uso il 20% della capacità di raffinazione: da gennaio a ottobre 2025, la lavorazione del petrolio è scesa a circa 220 milioni di tonnellate, rispetto all’anno scorso. A riportare la notizia è Reuters, grazie alle dichiarazioni di fonti interne, dato che la Russia non pubblica più i dati sul tema.
La flessione della produzione
Il Cremlino ha già dovuto ridurre drasticamente le esportazioni di carburante e ordinare ulteriori difese aeree anti-droni. Nonostante la situazione critica, la Russia è riuscita a diminuire la lavorazione soltanto del 3%. Per fare ciò, ha sfruttando la capacità inutilizzata negli anni e messa da parte in previsione di una situazione critica, come quella attuale. Le raffinerie stavano operando al di sotto della loro capacità, prima degli attacchi, ed erano riuscite ad accumulare una buona dose di petrolio bonus. Ciò è stato necessario non soltanto negli impianti danneggiati (e poi rapidamente riparati grazie all’import di ricambi dall’amica Cina), ma anche in quelli non interessati. Insomma, una situazione particolarmente critica.
Fino a dove potrà spingersi Mosca
L’Agenzia internazionale per l’energia ha affermato che i ricavi russi derivanti dalla vendita di petrolio greggio e prodotti petroliferi ad agosto hanno toccato il punto più basso dall’inizio della guerra nel 2022. L’export è stato sì ridotto dalle sanzioni e dalla scelta dei Paesi occidentali di non acquistare più carburante russo, ma anche dal fatto che se Mosca continua a esportare potrebbe rimanere (nuovamente) a secco. Il Cremlino, continua imperterrito ad affermare che il mercato del carburante è stabile e che Mosca non cederà mai alle pressioni degli altri Paesi. Ma la situazione sta solo peggiorando e cosa succederà se la popolazione dovesse rimanere senza energia per alimentare le proprie abitazioni o mandare avanti le produzioni nelle industrie? E soprattutto, cosa potrebbe succedere se qualche altro Stato, dotato di armi ancora più incendiarie, dovesse accanirsi contro le raffinerie russe, visto che i piccoli droni low cost ucraini, da soli, sono riusciti a piegare così tanto il settore economico principale della Grande Russia?
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