L’Italia è una trappola di cristallo, elegante e fragile. Il Sudafrica un muro di pietra: non lo smuovi. Puoi cambiargli tre quarti della formazione, togliergli un uomo o due, pigliarlo a testate. Non importa, vince lo stesso. A Torino contro gli azzurri 32-14, a Parigi contro la Francia era stato 32-17 in due partite somiglianti come codici medievali dello stesso testo e della stessa mano. Del resto lì sono campioni del mondo, hanno dieci volte i praticanti dell’Italia, si portano in giro quaranta giocatori da cui il tecnico Rassie Erasmus può pescare a caso. Combattono come Deadpool: non muoiono mai e ti rimbambiscono. Deadpool di chiacchiere, loro di ritmo e di onnipresenza e di spigoli che sbriciolano.
Garbisi dopo il pieno di punti al piede con l’Australia non ha trovato la stessa ispirazione poetica e ha chiuso con 3/6. Per il resto ha funzionato da apertura raffinata e intelligente qual è, tra l’altro incassando la spallata che ha procurato il rosso a Mostert dopo dieci minuti e tracciando la diagonale che ha asfaltato il prato a Capuozzo per la meta al 25′ del secondo tempo.
Solo che le realizzazioni dell’Italia sono finite qui. Il Sudafrica nel frattempo appariva e spariva all’orizzonte, corridore sempre in fuga tra i saliscendi. Avanti con un piazzato di Pollard al 33′, subito pareggiato; poi in meta con Van Staden, trasformata dallo stesso Pollard, prima dell’intervallo: quasi presa da un doppio Garbisi, di nuovo in allungo con Pollard e, dopo l’espulsione temporanea di Lorenzo Cannone per un’infrazione impalpabile, con la meta di Van den Berg puntualmente trasformata (alla fine Pollard fa 4/4 e pure questo è un ingranaggio di una macchina efficiente e oliata). Della segnatura di Capuozzo, in opprimente soggezione fisica finché non ha annusato quell’unico irrinunciabile varco, si è detto. A quel punto il Sudafrica ha innestato la modalità cronometro e ha tagliato il traguardo staccando l’Italia con le mete di Grant Williams e Hooker. La prima trasformata da Libbok, nel frattempo subentrato a Pollard, la seconda no per pura e semplice scadenza del tempo massimo.
I trentaduemila spettatori dell’Allianz Stadium di Torino si godono i rimpianti. Il capitano azzurro Brex, probabilmente il migliore insieme con Zuliani, preferisce l’analisi logica: «Quando entri tanto spesso nei loro ventidue metri e ne esci senza punti non puoi lamentarti molto». È vero questo ed è anche vero che nel primo tempo tutti i break sudafricani sono sbocciati su errori tecnici e piccole infrazioni degli italiani. Il cavilloso arbitro neozelandese Doleman non si è fatto scappare una sola chance di salire sul palco. Non ci fosse stato il falletto di Cannone, Willemse (per chiunque, uomo del match) e i suoi avrebbero disputato un bel pezzo di secondo tempo con due uomini in meno, per un giallo a Van Staden.
AMPIA DIFFERENZA
Ma è ampia la differenza tra Sudafrica e Italia e se è per questo anche tra i sudafricani e il resto del mondo, Australia compresa. Nel primo tempo hanno recuperato tutti i palloni giocati al piede. Nel secondo Lynagh aveva trovato il modo di anticiparli regolarmente e loro hanno preso ad avanzare con scambi veloci. Sotto di un uomo, Erasmus ha recuperato dalla panchina un po’ di esperienza — tre cambi in venti minuti, per cominciare — ed ecco fatto. Dice il ct dell’Italia, Quesada: «Sono orgoglioso dei miei ragazzi. Abbiamo seguito i nostri piani e ci siamo creati l’opportunità di vincere, dominando il primo tempo. Dobbiamo affinare il nostro istinto da killer». Sabato a Genova affrontiamo il Cile, probabilmente senza Vintcent che ha una spalla messa male.
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