Il nome è lì, scritto, evidente sul calendario. Gli eventi sono stati tutti confermati. E su ogni dettaglio, su ciascun progetto, fino alla fine, c’è stato il suo sguardo. Questa, però, sarà la prima Fashion Week a Milano con Armani ma senza Re Giorgio. Una passerella del ricordo, sentito e commovente, e anche della prospettiva, nell’avvio di quel “dopo” che Armani ha disegnato, come tutto d’altronde nella sua vita, con sobrietà e precisione. E Per amore, come il titolo del suo libro, la sua visione, il suo racconto di sé anche in mostra.
L’attesa è forte. La prova ardua per l’intero sistema moda. Si chiude un’epoca. Quella della “costruzione” – quando è nato, di fatto, il Made in Italy — dell’empowerment, della rilassatezza come chiave di stile e di un rigore che non è rigidità. E mai come adesso quell’epoca di rischi e visione, è tutta da raccontare, anche per guardare avanti.
LO STILE
Lo stile di Armani, che già nel suo spazio Armani/Silos racconta vent’anni di alta moda, con Giorgio Armani Privé 2005-2025, da domani sarà in mostra alla Pinacoteca di Brera: circa 150 look illustreranno i cinquant’anni della casa di moda, segnando l’ingresso del fashion per la prima volta nelle sale del museo. In ogni ambiente, gli abiti sono in relazione con i capolavori per affinità di colore, rimandi a tessuti o suggestione. «Appassionato d’arte, Armani non ha mai voluto sopravanzare le opere», dice Angelo Crespi, direttore della Pinacoteca. «Il percorso inizia nella cappella degli affreschi dell’Oratorio Porro di Mocchirolo dove ha voluto un solo abito. E si chiude, con più creazioni, nella sala con Il Bacio di Hayez: era affascinato dal delicato azzurro dell’abito della dama».
La moda ha perso il Re. E l’arte gli apre le porte, a rimarcarne sensibilità e intuizioni capaci di trasformare il vestire in emozione, l’immagine in messaggio. Stanca delle semplici vetrine o solo alla ricerca di una memoria “solida”, la moda pare eleggere sempre più spesso i musei a nuova passerella. Gli stilisti cercano nuovi spazi dai quali dialogare con il loro pubblico, che non è solo quello di chi li indossa ma anche quello di quanti sognano di farlo. Dolce&Gabbana ha conquistato Milano, Parigi, Roma, con la mostra Dal cuore alle mani. Valentino ha aperto nella Capitale lo spazio della Fondazione Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, con Orizzonti/Rosso. E sempre a Roma, Bulgari nella sua Domus in via Condotti, illustra momenti della sua storia – ora, The Genius of Images — senza dimenticare le mostre fatte in più musei. Cartier incanta Londra, con oltre 350 oggetti al Victoria&Albert Museum – la grande esposizione Cartier Collection arriverà a Roma, da novembre – e il museo ospita anche Marie Antoinette Style, a indagare lo stile della regina e la sua influenza fino a oggi, da Dior a Moschino. E così via. Senza dimenticare i molti volumi dedicati a stilisti e maison, come il sontuoso Enrico Coveri, The King of Colors, che ripercorre visione e genialità di Coveri, appunto, consegnando la sua filosofia anche alle nuove generazioni. E così via, tra mostre e libri sui grandi fotografi di moda e perfino romanzi – Il labirinto di seta di Anna Samueli (Sonzogno) è incentrato sulla figura di Mariano Fortuny — per far rivivere un passato di stile, sollecito per ispirazione e immaginario.
L’abito, insomma, si racconta e ci racconta, documentando le epoche, anche nei loro desideri e nella loro voglia di apparire. È un “come eravamo” che, in parte, per i corsi e ricorsi di stile, è anche “come saremo”. Soprattutto è un viaggio all’insegna della passione di chi crea, di chi indossa, di chi guarda. È il “Per amore” di Armani, tra razionalità e cuore, ricordo e prospettiva.
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