20.09.2025
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Sports

«Mi sono ritirato nelle colline astigiane, basta con la tv. Chi mi ha colpito di più tra van Basten e Totti? L’olandese»


Di derby se ne intende, avendo giocato quelli di Torino, Milano e poi Roma: sei anni alla Lazio, due in giallorosso. Diego Fuser oggi ha 56 anni, vive nelle Colline di Asti, si gode la famiglia, non va in tv e guarda calcio. «Solo qualche grande partita», dice. Ma di Roma ha bei ricordi. E anche dei derby più belli d’Italia. «Il mio esordio in A, col Toro. Mi lanciò Radice, contro la Juve di Platini. Avevo diciotto anni: vivevo un emozione incredibile, tanta voglia di dimostrare».

Poi è arrivato il Milan.

«Feci un assist a van Basten, che grande giocatore Marco. Il derby a Milano dura novanta minuti e basta. Non c’è un prima né dopo».

Poi è arrivata Roma. Sponda Lazio.

«Ricordi bellissimi. Ho due poster con le immagini dei derby anni ‘90. Li ho giocati tutti, con la Roma invece sono stato in panchina».

Che ricordi ha di quel periodo?

«I tifosi agli allenamenti, la gente che ti parlava della Roma già mesi prima. Di derby ne ho visti, ma a Roma è tutto diverso».

Chi lo sentiva di più?

«Dipendeva da cosa si scriveva sui giornali, da come reagivano certi calciatori rispetto a cosa si diceva in radio. I più accesi erano Corino e Gregucci».

Il suo derby del cuore?

«Il primo. Feci un gol da trenta metri, con una sassata: pallone mezzo metro dentro, ma non me lo diedero. Finì uno a uno, Giannini e Gascoigne. Oggi, col Var…».

Vincere il derby era?

«Salvare mezza stagione».

Mentalità provinciale, no?

«Ma a Roma è così. Zeman, in teoria, aveva ragione quando parlava di “partita come le altre”, ma in pratica no».

Quello di Roma è il derby più bello?

«Di sicuro il più caldo».

Come si prepara una stracittadina?

«Quelli contro Zeman erano di facile lettura: lo conoscevamo in tanti alla Lazio e sapevamo come affrontarlo. Infatti ne vincemmo quattro di fila».

Dalla Lazio è andato via nel momento migliore.

«Ma io mi sono tolto belle soddisfazioni, ma era arrivato il momento. Dopo sei anni in cui ho dato tutto».

Con Capello, alla Roma, invece non andò.

«Mi chiese di venire il giorno della partita scudetto, io vestivo la maglia del Parma. Per me era una grande opportunità. Il primo anno andò anche bene, poi giocai poco. I rapporti si erano rotti col tempo, giocavo poco ed ero un po’ nervoso. Ma a Roma sono stato bene, nessuno mi ha fatto pesare il passato alla Lazio. Ancora oggi ho molti amici con cui gioco a padel e che ogni tanto incontro: Di Biagio, Candela, Totti, Delvecchio, tanti».

C’è un Fuser oggi in Italia?

«Mi rivedo in Bellanova».

Beh, non è uno proprio da dieci gol in una stagione.

«Il livello si è abbassato. Mi ricordo quando dovevo essere convocato in nazionale dovevo lottare contro Di Livio, Moriero, Lentini. E’ cambiato tutto, a volte mi annoio a vedere le partite. Scelgo. Ad esempio, un derby me lo vedo».

Come è diventato capitano della Lazio?

«La fascia era stata data a Favalli, ma lui era un ragazzo molto timido, parlava poco. E mi disse che non se la sentiva. Ho accettata volentieri e da capitano ho pure alzato qualche coppa».

Un ricordo negativo dei suoi derby romani?

«Il 3-0 contro Mazzone. Ci ha fatto male».

Lei ha giocato con van Basten, Totti, Baggio, Batistuta. Chi la colpì di più?

«Dipende sempre da quando li vivi certi calciatori. E’ chiaro che al Milan, avendo io vent’anni, vedo van Basten e mi impressiona. Quando cresci è diverso, li guardi con occhi diversi. Di sicuro era tutti grandi uomini».

Come mai non la vediamo in qualche tv come opinionista?

«Ho preferito ritirarmi nelle colline astigiane».

La tragedia che ha vissuto in casa non ha aiutato, no?

«Ha influito un po’ tutto. Ho scelto di vivere un po’ di più la famiglia». Immaginiamo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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