20.05.2025
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Politics

mettere tutti d’accordo aggirando i veti incrociati


È minuta (fisicamente) ma si è rivelata piuttosto corposa (politicamente) Ursula. E la trovata di dare non ai partiti che sostengono la sua Commissione ma ai Paesi più importanti dell’Ue le 4 vicepresidenze rientra in una scaltrezza professionale che la riguarda non adesso e che è diventata chiara a tutti. Von der Leyen nella sua strategia di unità e inclusione ha estratto dal cappello delle magie del realismo questo espediente che le consente, anche nel proprio interesse personale oltre che politico, ma le due cose coincidono in questo caso, di mantenere il governo di Giorgia Meloni nel campo europeista, nonostante il voto contrario di Fratelli d’Italia a luglio sulla sua riconferma per la presidenza della Commissione. 

Ecco, è stata abilissima Ursula nell’includere Fitto tra i super-big (ma aspettiamo la fine della procedura per vedere come effettivamente andrà) rimarcando la differenza che c’è tra Meloni e la destra populista e anti-europeista. Del resto Tajani, che la conosce bene da molto tempo, indica nel «pragmatismo» la caratteristica fondamentale di Ursula. La quale nei momenti clou sfodera una determinazione da pugno di ferro nel guanto di velluto.

L’ESORDIO

E questo fin da quando nel 2019, a sorpresa, seppe piazzarsi al posto del predestinato presidente Ue, cioè il connazionale e collega di partito — il popolare Manfred Weber, ma i due mai si sono amati e continuano a guardarsi a distanza — che Macron fece saltare a un passo dall’incoronazione. Da lì, l’ascesa. Un inizio incerto e poi con la lotta al Covid, con l’unità di tutti i partner nella campagna anti-pandemia e nell’acquisto comune di vaccini, con la creazione del debito comune per far ripartire le economie dei 27, con la fermezza a favore dell’Ucraina aggredita da Putin, con la strategia di freno all’aumento dei prezzi energetici, si è ritagliata un’autorità riconosciuta ma anche contestata, dal suo stesso partito che mai l’ha troppo amata e la fece eleggere per un soffio mentre nel bis ha superato di 40 voti il quorum sterminando preventivamente i franchi tiratori, per via del, Green Deal che lei definì «importante come lo sbarco sulla luna» e invece sembrava poterla distruggere. Macché, rieccola Ursula nella sua seconda prova: più che mai pacata, prudente, composta, portata al compromesso ma a modo suo furba e decisionista. È quella che, nel primo mandato, è stata capace di negoziare finanziamenti all’Ungheria orbaniana, che lei detesta, per ottenere il favore alla viglia di una votazione o, di recente, di rinviare la pubblicazione di un dossier sui media italiana per non urtare Meloni con cui era in trattativa per il bis. 

La maniera con cui sta giocando la carta delle vicepresidenze Ue fa dire ai suoi compagni di partito: «Sembra Merkel, anzi meglio. Ce la ritroveremo prima o poi Cancelliera?». Di sicuro sta sfruttando al massimo, per muoversi in agilità, la debolezza di Marcon (che le preferiva Draghi alla guida di palazzo Berlaymont) e la crescente fragilità di Scholz.
Nessuno dei due adesso ha interesse a disturbare l’impianto targato von der Leyen, la quale da una parte ha imbarcato anche i Verdi e dall’altra a mantenuto con la destra modello Meloni rapporti più che ottimi. Divide et impera e inclusività: ecco il segreto del Manuale Ursula. Dove c’è scritto quanto la detestava Charles Michel, presidente uscente del Consiglio europeo, o quanto non andava d’accordo con Borrell (alto rappresentante, uscente, per la politica estera) ma ora loro hanno fatto le valige e lei è più forte di prima e sta personalizzando la sua posizione di potere. 

LA STRATEGIA 

È da Manuale Ursula il modo in cui von der Leyen si è mossa rispetto all’Italia. In una dialettica che le vede simili, ha chiesto a Meloni di far votare la delegazione di FdI contro di lei per il bis. Una mossa dettata da questo motivo: il sostegno esplicito a Ursula da parte di un partito della destra-destra avrebbe potuto accrescere il fuoco amico nei confronti della candidata presidente all’interno del gruppo dei socialisti. Ed è stata ancora Ursula, in sintonia con Meloni, a chiederle di non far sapere fino all’ultimo minuto il modo in cui avrebbe votato FdI. Secondo questo ragionamento: se i voti contrari dei meloniani fossero stati dichiarati molto prima della votazione, i franchi tiratori, sapendo che una delle possibili stampelle dell’Ursula bis era venuta meno, avrebbero potuto prendere coraggio e avrebbero potuto provare a sabotare la sua candidatura. 
Avrà pure sette figli la von der Leyen, ma non le è mancato il tempo di leggere Machiavelli e di pensare a Fitto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA 

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