31.12.2025
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Economy

Mercato digitale a 62 miliardi nel 2025, ma i costi di acquisizione clienti erodono i profitti: l’allarme degli esperti


In Italia si assiste a un caso unico. Il mercato e-commerce continua a mantenere un trend di crescita positivo, con 62 miliardi di euro nel 2025, mentre il fenomeno delle conversioni è in calo con i costi di acquisizione clienti che erodono i profitti. Ecco un pò di dati 

I dati più recenti

Il mercato e-commerce italiano si avvia a superare i 62 miliardi di euro nel 2025 con una crescita del 6%, eppure la maggior parte degli operatori sta affrontando una crisi silenziosa di profittabilità. I costi per le visite online sono aumentati del 9% nell’ultimo anno mentre i tassi di conversione continuano a scendere, creando una forbice insostenibile tra investimenti pubblicitari e ritorno economico reale. Questo paradosso sta mettendo in difficoltà centinaia di brand che vedono crescere il fatturato mentre i margini si assottigliano pericolosamente. Secondo i dati più recenti, l’e-commerce B2C di prodotto supererà i 40 miliardi di euro con una crescita del 6%, mentre i servizi registreranno un incremento dell’8% raggiungendo i 22 miliardi. A livello globale, le vendite e-commerce sono stimate a 6.564 miliardi di dollari nel 2025, con proiezioni che indicano circa 7.058 miliardi per l’anno successivo. Numeri che descrivono un settore in espansione costante, ma che nascondono una realtà preoccupante per chi opera sul mercato.

«La questione centrale non è tecnica, ma di competenze», afferma Filippo Bova, fondatore di Next2ad, agenzia specializzata in performance marketing per e-commerce. «La maggior parte delle aziende continua ad approcciarsi all’e-commerce come si faceva nel 2020: affida la gestione delle campagne a un’agenzia, guarda il ROAS a fine giornata e il fatturato a fine mese. Quello che manca è la capacità di interpretare e convertire in strategia i dati raccolti in fase pre-click, post-click e l’analisi finanziaria in un unico sistema decisionale».

Il problema principale risiede nella frammentazione delle competenze e nell’incapacità di leggere i dati in modo integrato. Le agenzie tradizionali si concentrano su metriche di piattaforma come CPM, CPC e ROAS, mentre i team interni monitorano fatturato e conversion rate. Queste visioni raramente si parlano, lasciando un vuoto strategico che costa caro. Nel 2024, i brand hanno aumentato la spesa in digital advertising del 10%, ma questo incremento non si è tradotto in risultati proporzionali. Il Ritorno sulla Spesa Pubblicitaria è calato nella maggior parte delle categorie merceologiche.

Il comportamento degli utenti

Un dato allarmante emerge dall’analisi del comportamento degli utenti: il 40% delle visite online è stato segnato da sentimenti di frustrazione che hanno portato all’abbandono della sessione, spesso a causa della lentezza nel caricamento o di esperienze utente poco fluide. Questo significa che quasi la metà del traffico pagato a caro prezzo viene sprecato per problemi che vanno oltre la qualità delle campagne pubblicitarie.

«Quando un brand viene da noi, la prima cosa che facciamo non è lanciare nuove campagne pubblicitarie», spiega Bova «Analizziamo i gap di canale, le potenzialità, i dati finanziari del business: marginalità sul venduto, budget sostenibile, obiettivi. Solo a quel punto sappiamo dove intervenire. Spesso il problema non sta nelle creatività o nel pubblico di riferimento, ma nel prezzo, nell’offerta o nella struttura del carrello». La situazione è particolarmente critica per le piccole e medie imprese che rappresentano la maggioranza del tessuto imprenditoriale italiano. Molte di queste aziende possono generare 4 euro di fatturato per ogni euro speso in pubblicità e pensare di essere in salute, ma senza un controllo accurato della marginalità e dei costi reali del venduto, stanno probabilmente perdendo denaro su ogni ordine acquisito.

Gli italiani che acquistano online hanno raggiunto quota 35,2 milioni nel 2025, con 1,5 milioni di nuovi utenti rispetto all’anno precedente. Un bacino di potenziali clienti in continua espansione che richiede però approcci sempre più sofisticati per essere intercettato e convertito in modo profittevole. “Non vendiamo gestione di ads”, sottolinea Bova. “Vendiamo un sistema di crescita che parte dalle campagne pubblicitarie online e si sviluppa nell’integrazione tra dati di piattaforma, dati di business e strategia. Per questo abbiamo sviluppato un nostro software di business intelligence». La trasformazione digitale del commercio italiano sta entrando in una fase di maturità che richiede un salto di qualità nelle competenze e negli approcci strategici. Non basta più essere presenti online o investire in pubblicità digitale. Serve una visione olistica che integri marketing, analisi dei dati, esperienza utente e gestione finanziaria in un unico processo decisionale.

«Chi non adotta questo approccio continuerà a vedere il mercato crescere mentre i propri profitti si assottigliano», avverte Bova. Il futuro dell’e-commerce italiano appartiene a chi saprà trasformare un ecosistema frammentato di dati in decisioni strategiche capaci di generare profitto sostenibile. Per tutti gli altri, il rischio è di trovarsi intrappolati in una spirale di crescita apparente che nasconde perdite reali. La sfida per il 2026 e gli anni a venire sarà quindi duplice: da un lato continuare a cavalcare l’onda della digitalizzazione che sta trasformando le abitudini di acquisto degli italiani, dall’altro sviluppare le competenze necessarie per rendere questa crescita economicamente sostenibile. Un passaggio cruciale per la competitività del sistema paese in un mercato sempre più globalizzato e competitivo.


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