Compagni, allons! Da Shanghai, la Parigi d’Oriente, a quella originale, in Francia, per le Olimpiadi. Passando per un faccia a faccia con uno dei membri in ascesa del Politburo comunista cinese, e per qualche ora di shopping assieme alla figlia Ginevra tra i negozi del Bund, il lungo viale che costeggia il fiume Huangpu. Dopo cinque giorni intensi Giorgia Meloni ha lasciato ieri la Cina, portando a casa un’iniziale ricucitura con Xi Jinping dopo l’addio alla Via della Seta. Alle spalle però restano anche un’ultima tappa nella capitale economica del colosso asiatico e qualche perplessità da parte del Paese del Dragone.
L’ECONOMIA
La prima è tornata utile alla presidente del Consiglio per ribadire — nella città cinese dove la presenza italiana è più marcata — l’importanza di tutelare su entrambi i fronti il rapporto economico e le rispettive specificità. Davanti al potente segretario del partito comunista del Comitato municipale di Shanghai Chen Jining, considerato tra i leader in ascesa nel panorama nazionale, Meloni ha infatti chiarito come tra gli obiettivi della missione non vi fosse solo il riequilibrio della bilancia commerciale attraverso nuovi investimenti, ma anche «aiutare e sostenere le aziende italiane che già da tempo hanno deciso di investire in Cina e che particolarmente a Shanghai hanno contribuito allo sviluppo di questa straordinaria realtà». Circa 1200 imprese che, come ricorda Jining, sviluppano circa «il 20% dell’interscambio», orientando verso «i 24 milioni di abitanti della città, il «canale per importare i beni dall’Italia». Traguardo ribadito anche nel post social con cui Meloni conclude la trasferta: «Abbiamo aperto una nuova fase dei nostri rapporti bilaterali», scrive la premier. «Obiettivo: aprire nuovi spazi alle nostre imprese e rimuovere gli ostacoli all’ingresso dei prodotti italiani nel mercato cinese».
Per farlo ora c’è l’impianto «di cornice» che Meloni ha firmato con il primo ministro Li Qiang (che ha ricoperto fino a due anni fa la carica di Jining). Ora toccherà ai suoi ministri, assieme agli omologhi cinesi, riempire di contenuto il Piano triennale d’azione. Già, i ministri italiani, la cui assenza avrebbe quanto meno fatto alzare un sopracciglio alla controparte cinese. Se dal lato nostrano del tavolo delle intese, accanto alla premier, c’erano l’ambasciatore Massimo Ambrosetti (che le ha sottoscritte tutte) e alcuni membri dello staff di Meloni, dall’altro hanno infatti preso posto esponenti di diverso grado dell’esecutivo o dei ministeri interessati dagli accordi. Il dettaglio, colto al primo giorno di visita, non sarebbe sfuggito al governo di Pechino. Così come avrebbe destato curiosità l’assenza dei giornalisti italiani a margine del faccia a faccia con Xi Jinping. Tra l’imbarazzo dei cronisti e degli operatori accreditati in Cina che abitualmente accedono a questo tipo di incontri, i sette posti disponibili sono stati distribuiti in parte tra lo staff e in parte lasciati vacanti, generando qualche dubbio sulla volontà italiana di dare un’ampia copertura mediatica alla visita.
LA FRANCIA
Prima di archiviare come un successo quella che è stata tra le più delicate missioni diplomatiche di Meloni e mettere nel mirino i nuovi vertici Rai in una riunione con Matteo Salvini e Antonio Tajani che si terrà la prossima settimana (il presidente del Senato Ignazio La Russa si è detto non a caso disponibile a «calendarizzare il voto per il Cda prima della pausa estiva») la premier farà oggi tappa a Parigi, senza però approcciarsi ad un’altra missione che avrebbe un valore altrettanto significativo: l’atteso confronto con Emmanuel Macron all’Eliseo. Le ventiquattr’ore francesi della premier sono infatti da considerarsi una «visita privata», senza alcuna valenza politica. Appena poche ore insomma, in cui Meloni incontrerà insieme alla figlia gli atleti azzurri che stanno gareggiando alle Olimpiadi a Casa Italia, la sede della Nazionale olimpica a pochi passi dagli Champs Élysées. D’altro canto il presidente della Repubblica francese è in vacanza lontano dalla Capitale. Ma è lecito sospettare che, dopo gli screzi al G7 o quelli durante la definizione dei top jobs dell’Unione Europea, evitarsi sia stata più d’una coincidenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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