Un aiuto con Washington, forte del rapporto privilegiato che Giorgia Meloni può vantare con Donald Trump. «Parla con lui», è una delle richieste che Volodymyr Zelensky mette sul tavolo del bilaterale con la premier italiana, ieri a margine dei lavori del Consiglio europeo. All’Europa building i riflettori sono accesi sull’Ucraina, indiscussa protagonista del summit, mentre dagli Usa arrivano, a sorpresa, buone notizie. Anzitutto le sanzioni contro Mosca, un dito del tycoon nell’occhio di Putin su cui in pochi, a queste latitudini, confidavano. E così in poche ore il Cremlino incassa un doppio schiaffo, perché mentre gli States colpiscono i giganti energetici russi Rosneft e Lukoil, l’Europa vara il 19esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Trump adotta la linea dura, impugna il bastone e abbandona la carota. La speranza di Zelensky è che segua lo stesso copione anche sui supermissili chiesti da Kiev: «non abbiamo ancora i Tomahawk», dice infatti il leader ucraino in conferenza stampa, lasciando intendere che forse, anche su questo fronte, qualche spiraglio da qui in avanti potrebbe aprirsi. Con l’aiuto degli alleati, e tra questi una parte in scena potrebbe giocarla la donna che per il tycoon più che Meloni è «wonderful Giorgia», la leader che ama celebrare a ogni occasione utile. E che si è sempre battuta ostinatamente perché gli States restassero “agganciati” nella guerra deflagrata nel cuore del Vecchio continente, non lasciando l’Europa col cerino in mano.
Nel faccia a faccia tra la premier e Zelensky viene affrontato anche il dossier sull’uso dei beni russi congelati in Europa. Un tesoretto che potrebbe essere utilizzato per un prestito di riparazione di 140 miliardi di euro per Kiev, ora che le risorse scarseggiano incuranti di una guerra che continua nella sua folle corsa. Meloni ne parla con «l’amico Volodymyr» senza filtri, a modo suo, spiegando che è «necessario rispettare il diritto internazionale e il principio di legalità», affinché l’uso dei frozen assets non si trasformi in un boomerang. Non è un caso che l’italiana sia tra i leader che hanno chiesto espressamente un parere della Bce, temendo i contraccolpi per gli investitori, un rischio più volte sollevato dalla Banca centrale europea. E poi c’è il pericolo concreto di una causa legale da parte del Cremlino, che potrebbe adire le vie legali denunciando quello che ai suoi occhi suona come un esproprio senza precedenti.
I TIMORI ITALIANI
Ma Roma teme anche le ritorsioni di Mosca sulle aziende italiane che operano in Russia, spiegano fonti di governo. E di fatto ha già pagato dazio, con le imprese italiane falcidiate per numero e presenze: della 500 che operavano sul territorio russo nel 2021, prima dello scoppio del conflitto, ne sono rimaste in piedi solo 270, poco più della metà.
Zelensky cerca di portare la leader italiana — da sempre convintamente al fianco dell’Ucraina — dalla sua parte. Ma per Meloni è indispensabile garantire la sostenibilità di ogni passo che da qui in avanti verrà compiuto: per lei resta questa la rotta, la via maestra da cui non si può prescindere. E che oggi pomeriggio ribadirà nella riunione dei volenterosi che si terrà a Londra, e a cui la premier parteciperà collegandosi da Roma. Del resto sono in tanti a pensarla come lei a Bruxelles, nonostante il pressing di un pezzo da 90 come il Cancelliere tedesco Friedrich Merz.
Per il resto, il bicchiere della premier italiana all’Europa Bulding è mezzo pieno. Al mattino partecipa all’ormai consueta riunione informale sulle migrazioni. Sul tavolo l’accelerazione sul regolamento rimpatri e sulla lista europea dei paesi sicuri, potenziale scudo agli hotspot albanesi che allo stato attuale risultano impantanati. «Il vento è cambiato», conviene Meloni coi suoi prima di incontrare Ursula von der Leyen per affrontare con lei, vis-à-vis, il dossier competitività e politiche green, su cui la premier si è detta pronta a dare battaglia. Nel corso del summit, l’automotive si conferma l’emblema del dietrofront della numero 1 di Palazzo Berlaymont sul Green deal, bandiera del suo primo mandato. Nelle conclusioni del vertice spunta per la prima volta un riferimento chiaro alla neutralità tecnologica cara al governo italiano e ai tedeschi, una crepa nel dogma dell’elettrico. Nel vertice ampio spazio anche al tema della difesa, con i telefonini dei leader rigorosamente spenti. Sulle 9 macroaree individuate nella roadmap sulla difesa Ue — dai droni ai missili, passando alla mobilità militare e alla sicurezza aerea — l’Italia si fa avanti su tutto: «abbiamo dato disponibilità su ogni singola voce», spiegano fonti diplomatiche: «il ministero della Difesa ha già avviato contatti con gli altri Paesi».
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