Si scaglia contro «i caminetti» dove si prova a decidere i futuri assetti europei, con buona pace «dell’indicazione chiara» arrivata dai cittadini alle urne di giugno. Chiede un «cambio di passo» e più «rispetto» per l’Italia, alla vigilia del vertice a Bruxelles sui top-jobs della Commissione e del Consiglio europeo. Giorgia Meloni pronuncia un discorso durissimo alla Camera e al Senato.
IL DISCORSO
Lancia un messaggio ai leader dei Paesi Ue pronti a riunirsi per una maratona negoziale nella capitale belga stasera: di questo passo, il suo governo non voterà un secondo mandato a Ursula von der Leyen. Le trattative europee sbarcano in Parlamento, nel giorno del doppio discorso della presidente del Consiglio con lo sguardo al risiko delle nomine Ue. E dal Quirinale, dove Meloni si presenta al consueto pranzo pre-Consiglio insieme a una pattuglia di ministri e sottosegretari — Tajani, Fitto, Mantovano, Fazzolari — il Capo dello Stato Sergio Mattarella fa sentire la sua voce: «Non si può prescindere dall’Italia». È infuriata la premier per un negoziato che prosegue a porte chiuse tra le cancellerie e le segreterie di partito europee. La spartizione delle nomine di vertice dell’Ue concordata da socialisti, popolari, liberali, lasciando alla finestra i suoi Conservatori.
In aula Meloni è un fiume in piena. Alza la voce contro «una conventio ad excludendum che a nome del governo italiano ho contestato e non intendo condividere». I deputati ascoltano, lo sguardo assorto sugli smartphone. Qui e lì la premier li sferza, tornano vigili. Succede quando apre una parentesi su Satnam Singh, il bracciante indiano rimasto ucciso sul lavoro, abbandonato sanguinante sul ciglio della strada. Una morte «orribile e disumana, schifosa», riprende la presidente del Consiglio mentre tutta l’aula della Camera si alza in piedi e applaude all’unisono. Inclusi i ministri incalzati dalla leader: «Rega’, alzateve».
Per il resto, la verve è tutta per l’Ue che decide a tavolino l’agenda e le poltrone. «Occorre raddrizzare la rotta, su top jobs è sbagliato il merito e il metodo». «È disgregante per l’Europa — rincara Meloni nella replica pomeridiana al Senato — l’atteggiamento di cercare di mettere all’angolo alcuni Paesi solamente perché non si condivide il governo di quel paese». Il ragionamento suona così. Socialisti, popolari, liberali pensano di poter decidere a tavolino i top jobs delle istituzioni europee, perché sono i primi tre partiti usciti dal voto. «Peccato che non sia così, i Conservatori sono il terzo partito in Parlamento».
Ne fa soprattutto una questione di «interesse nazionale»: «Il governo camminerà a testa alta a Bruxelles, non andrà in giro con il cappello in mano». Alza la posta, la leader di Fratelli d’Italia, convinta che riuscirà «a fare di meglio» rispetto al centrosinistra cinque anni fa, quando il governo Conte-bis strappò la delega all’Economia per il commissario Paolo Gentiloni. Punta più in alto Meloni: una vicepresidenza esecutiva, un portafoglio economico di peso per Raffaele Fitto. Chissà. Antonio Tajani è scuro in volto, in Transatlantico parla con i cronisti il vicepremier di Forza Italia e prima fila dei Popolari: «Hanno sbagliato il metodo, Meloni fa bene a impuntarsi». Pausa. Se Ursula andrà in aula così, «rischiano di finire sotto». Al Senato, finito il discorso, Meloni si intrattiene con Tajani e Matteo Salvini, un mini-vertice per decidere la linea: nessun voto a favore senza garanzie ferree.
Sullo sfondo il messaggio del Quirinale che suona come un monito alla presidente uscente della Commissione Ue e ai leader europei che la sostengono. Nessun sostegno politico a una soluzione o un’altra, chiariscono dal Colle. L’obiettivo di un’uscita pubblica insolita è semmai chiarire che nella composizione delle nuove nomine, «non si può prescindere dall’Italia». Altrimenti il banco salta.
I NODI
Non sarà un assist, ma da Palazzo Chigi apprezzano, in queste ore di burrasca. Sembra quasi cercare una sponda tra le opposizioni la premier, quando ricorda al Senato che «queste micro-beghe tra noi sono esiziali, rischiamo di farci male». L’appello non viene accolto dai rivali in aula, che sguainano le spade, da Giuseppe Conte alla segretaria dem Elly Schlein: «Il problema è il rischio isolamento che corre il nostro Paese».
La palla ora si sposta a Bruxelles, per il primo round: le trattative al Consiglio europeo. A metà fra palazzo e i tanti bilaterali informali che Meloni potrebbe avere sotto gli stucchi dell’Hotel Amigo. Il secondo round si giocherà all’Europarlamento, con il voto di fiducia ad Ursula. Partita complessa: i Conservatori rischiano di spaccarsi. Ieri una riunione del gruppo è finita in stallo, con qualche tensione dei polacchi del Pis: diffidano di von der Leyen, battono i pugni per avere incarichi di peso nel partito. Saranno settimane movimentate, tra Roma e Bruxelles.
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