25.11.2025
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Politics

Meloni: siamo leali e vogliamo lealtà. I dubbi di FdI su Garofani: «Parole inopportune»


Martedì, quando si è consumato lo scontro, «non ero a Roma, altrimenti al Colle sarei salita immediatamente». Il silenzio sceso tra Palazzo Chigi e il Quirinale era solo questione d’agenda, perché per Giorgia Meloni il chiarimento con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, era necessario, un passaggio ineludibile per voltare pagina. Ma anche, e questo va detto, per togliersi più di un sassolino dalla scarpa. E non con il Capo dello Stato, a cui la presidente del Consiglio ribadisce — in 20 minuti serrati di colloquio — di non aver mai nutrito dubbi quanto a lealtà e trasparenza: «nessun sospetto sull’esistenza di un golpe o di manovre di Palazzo, sia chiaro».

Ma per spiegare al Capo dello Stato che la nota vergata dal capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami non aveva il Presidente nel mirino – leit motiv ribadito dai meloniani per l’intera giornata di martedì – quanto Francesco Saverio Garofani, il consigliere, fedelissimo del Presidente, a cui il giornale di Maurizio Belpietro ha attribuito le frasi della discordia. Riportate in una mail inviata a diversi giornali di destra domenica scorsa, altro tassello di questa ingarbugliata vicenda che ha generato un pandemonio sulla rotta Quirinale-Palazzo Chigi.

Ed è proprio sul consigliere agli Affari del Consiglio Supremo di Difesa che verte gran parte del colloquio tra la premier e il Presidente della Repubblica. Perché, tra gli obiettivi di Meloni, c’è quello di far comprendere al Capo dello Stato che la nota del capogruppo di Fdi, e dietro la quale c’era l’intero partito a cominciare da lei, era stata congegnata anche per tutelare il Quirinale, «a cui certe uscite maldestre, quanto meno improvvide, non possono che ledere». In altre parole, «circoscrivere la vicenda» lasciando nel mirino il solo Garofani. E il ruvido comunicato del Colle giunto di rimando, e letto da Meloni mentre era diretta a Predaia per un taglio del nastro, l’hanno lasciata «letteralmente senza parole, scioccata».

Al pari dell’ammissione del diretto interessato sulle pagine del Corriere della Sera, in un colloquio in cui Garofani si dichiara amareggiato per l’uso di frasi pronunciate tra amici, «una chiacchierata in libertà» con poche persone fidate (in realtà a Fdi risulta che fossero molte di più). E in cui il consigliere racconta di essere stato rassicurato dal Capo dello Stato.

IL COLLOQUIO FRANCO

Parole che ben presto monopolizzano le chat dei Fratelli d’Italia, rimbalzano di display in display nel crocevia tra Palazzo Chigi, Camera, Senato e via della Scrofa, quartier generale del partito. Trasformandosi per Meloni in un motivo in più per alzare la cornetta e chiedere un incontro, imboccare la strada per il Quirinale e parlare con Mattarella di persona, senza intermediari di mezzo e senza giri di parole. Con franchezza. Perché un dato non secondario per la premier e i suoi fedelissimi è anche il ruolo che Garofani riveste nelle stanze del Colle: una pedina centrale del Consiglio Supremo di Difesa in una fase geopolitica in cui l’Italia – si pensi solo alla guerra in Ucraina – è particolarmente esposta.

I PRECEDENTI

Per questo al Colle Meloni, che con i suoi era arrivata ad immaginare addirittura un passo indietro del consigliere, dà un messaggio chiaro: «Noi siamo leali e chiediamo lealtà». Tanto più che tra le file di Fdi Garofani — tre legislature alle spalle nella Margherita, per i meloniani quasi una lettera scarlatta appuntata sul petto — era da tempo nel mirino: «Sono anni, ancor prima che Meloni arrivasse al Quirinale, che tenta di affossarci», sostengono diversi big del partito. Dove è viva la convinzione che, al netto dell’indubbia lealtà di Mattarella, nelle stanza del Palazzo che fu dei Papi in molti brigherebbero volentieri pur di vedere affondare il governo, «perché se Meloni vincerà le politiche nel 2027 sarà lei a dare le carte sul Quirinale. E per molti si tradurrebbe in un gameover». «Capita a tutti di scegliersi persone sbagliate, io a volte avrei meritato la cintura nera di karate — ha scherzato Meloni coi suoi — ma se poi sbagli, paghi il conto. Non c’è cattivo più cattivo di un buono costretto a essere cattivo».

Sulla lealtà di Garofani Mattarella tuttavia nutrirebbe zero dubbi. Considerata persona affidabile e corretta, il consigliere 63enne per il Capo dello Stato — tra i due un rapporto trentennale — avrebbe peccato di leggerezza, fidandosi di poche persone considerate intime, vicine. Per il Quirinale, come per Fdi, la vicenda si chiude qui. Ora servirà il tempo necessario a far cicatrizzare le ferite.

 


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