Non solo il nuovo conflitto Israele-Iran, la crescente preoccupazione per Gaza ridotta a polveriera, il fronte sempre aperto in Ucraina con il timore di un progressivo disimpegno Usa. A preoccupare il governo interviene anche un’altra variabile, tanto più incisiva trattandosi dell’esecutivo capitanato da Giorgia Meloni, la premier di destra che ha fatto del contrasto all’immigrazione clandestina uno dei suoi cavalli di battaglia. Dentro e fuori la campagna elettorale. Gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane segnano di nuovo +. Dopo mesi in caduta libera, con numeri sbandierati come un fiore all’occhiello delle politiche intraprese dal governo. E diventate modello in l’Europa, in barba a un avvio di rapporti a dir poco burrascoso con Bruxelles. Ma veniamo ai numeri. Al 19 giugno i migranti sbarcati sulle coste italiane sono stati 28.509, con un aumento del 17,56% sul 2024, quando, alla stessa data, ad arrivare in Italia clandestinamente erano stati 24.250 irregolari. Ma quel che più inquieta il governo circa i dati sul tavolo è che l’aumento più significativo degli arrivi si registri dalla Libia, con un balzo in avanti che agita il governo: dai 19.168 migranti in arrivo nel giugno dello scorso anno dalle coste libiche si è passati a 23.508, con un incremento che si lega a doppio filo con l’instabilità in cui è ripiombato il Paese, e che vede Tripoli sull’orlo di una guerra civile. La preoccupazione è tale che oggi Meloni, nonostante un’agenda densa di impegni a partire dal vertice sul Piano Mattei, farà il punto della situazione con i vertici dell’intelligence, i due vicepremier, il ministri dell’Interno Piantedosi e il responsabile della Difesa Crosetto.
IL NODO DELLA DIFESA
Gli accordi con la Libia garantiscono a Roma «il blocco delle partenze, arresti dei trafficanti, controllo delle frontiere terreste e rimpatri volontari assistiti. È chiaro che la precarietà del momento che la Libia sta attraversando porta a un allentamento delle maglie», spiega una fonte interessata al dossier. Sul tavolo del vertice, naturalmente, anche il nodo della difesa, a pochi giorni dal summit dell’Aia in cui verrà fissata la nuova asticella delle spese in armamenti e sicurezza. Nei giorni scorsi la premier ne ha parlato con Trump, che chiede un impegno degli alleati pari al 5% del Pil. Meloni, nel G7 tra le vette di Kananaskis, ha fatto il punto anche con i colleghi europei. La proposta della premier italiana — spalmare il 3,5% della spesa in 10 anni con step variabili a seconda delle possibilità di cassa — avrebbe convinto il cancelliere Friederich Merz e il presidente francese Emmanuel Macron, decisi a intestarsi la stessa battaglia. Più freddo il primo ministro inglese Keir Starmer, che tuttavia non intenderebbe mettersi di traverso: l’importante è tagliare il traguardo.
I TEMI POLITICI
Per ora il vertice a Chigi, che si terrà subito dopo il Consiglio dei ministri, prevede all’ordine del giorno le crisi internazionali e il nodo difesa. Ma non è escluso che i tre leader del centrodestra si ritaglino uno spazio loro per affrontare il nodo del terzo mandato per i governatori, dopo che, tra accuse e veti incrociati, è saltato il banco. «Credo si tratti di un’ipotesi ormai evaporata, a meno che Meloni, Tajani e Salvini non decidano diversamente. Allo stato attuale non c’è, spirata. Dopodiché io mi fermo al IV piano, se poi dal roof decidano diversamente…», dice al Messaggero il capogruppo di Fi al Senato Maurizio Gasparri.
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