ROMA C’è la “manina” di Giorgia Meloni dietro la tregua tra Donald Trump e Ursula von der Leyen. La premier ha fatto da pontiere in ore in cui l’accordo sui dazi sembrava destinato ad andare rovinosamente a fondo. Venerdì scorso la minaccia: il tycoon aveva attaccato a muso duro l’Ue, annunciando dazi al 50% a partire dal primo giugno. Stanco, l’accusa, dall’immobilismo dei 27, frustrato da un negoziato arenato e destinato a «non andare da nessuna parte». Sui mercati si scatena il panico, a Palazzo Chigi si accusa il colpo. Roma, dopo Berlino, vanta l’export più alto negli States: tariffe del 50% alle dogane si tradurrebbero in una caporetto per il made in Italy, benché, subito dopo l’annuncio di The Donald, dall’ufficio della premier — oggi attesa a Bologna per l’assemblea di Confindustria, poi in visita al Tecnopolo — si predichi la linea del “no panic” alle prime linee in trincea, vale a dire tra i ministeri più esposti al fronte dazi.
IL RAPPORTO PRIVILEGIATO
Ma Giorgia Meloni è preoccupata. Lo è molto. Decide di giocare la carta del rapporto «privilegiato» (copyright Meloni) con il presidente repubblicano. I giorni precedenti alla nuova dichiarazione di guerra commerciale all’Ue aveva avuto diversi scambi con lui — l’ultimo appena 24 ore prima -, sul tavolo soprattutto il dossier della guerra in Ucraina e la possibile carta dei negoziati in Vaticano da giocare. La presidente del Consiglio venerdì triangola e ragiona con Bruxelles: la trattativa sui dazi è finita in un vicolo cieco, meglio agire subito. Von der Leyen è d’accordo. Meloni decide allora di chiamare Washington, certa che Trump l’abbia sparata grossa ma sia in realtà disposto a trattare. Insomma, il solito registro. Tra i due una telefonata franca, con il tycoon che lamenta l’inazione dell’Ue, una burocrazia che manderebbe all’aria qualsiasi trattativa: più facile ragionare con la Cina, l’India, che con una realtà a 27 teste. Meloni ascolta, sa che quella dei dazi è una partita a poker, segnata da lanci e rialzi. Rimarca dunque come l’export generi un valore aggiunto anche per il retail Usa, perché i prodotti esportati vengono venduti sul mercato a stelle e strisce con prezzi dalle 3 alle 5 volte superiori. Prendi il parmigiano reggiano: esportato a 15 dollari al kg viene venduto al dettaglio negli States a 47. Insomma, ci guadagna l’Italia ma ci lucra anche l’America. Per questo, la mannaia dei dazi al 50% si tradurrebbe in guai per tutti, «dear Donald».
PREPARA IL TERRENO
Meloni prepara il terreno per von der Leyen, la telefonata Bruxelles-Washington arriva quasi 48 ore dopo, domenica sera. Palazzo Chigi, nel frattempo, decide di “silenziare” i contatti con Trump, il perché è facilmente intuibile: la call tra l’inquilino della Casa Bianca e von der Leyen rischia di trasformarsi in un boomerang. Meglio lavorare sotto traccia, agire e colpire inabissandosi. E invece quando la numero uno di Palazzo Berlaymont chiama la White House tutto fila liscio. O così sembrerebbe, considerando che Trump decide di tornare alla casella di partenza: il 9 luglio si capirà di che morte dovrà morire l’Ue. Pollice su o pollice verso. Benché Bruxelles e Palazzo Chigi continuino a professare il traguardo dazi zero, un punto di caduta onorevole potrebbe puntare a quota 10%, ricalcando l’intesa Usa-Gb indicata anche dal responsabile del Mef Giorgetti. Seppur la Lega, leggi Salvini, continui a chiedere che l’Italia tratti da sola, incurante della competenza tassativamente europea sul negoziato. Un concetto che il vicepremier del Carroccio avrebbe ribadito anche ieri, durante il pranzo con Meloni e Tajani, provocando il disappunto della premier.
Intanto 72 ore dopo l’ultimo contatto, il commissario al Commercio Maros Sefcovic, capo negoziatore dell’Ue, è tornato a sentire i suoi omologhi americani Howard Lutnick e Jamieson Greer. «Continuiamo a essere pienamente impegnati in sforzi costruttivi e mirati, così da procedere a ritmo sostenuto verso un accordo», ha scritto Sefcovic su X al termine della chiamata, preannunciando nuovi scambi. Il repentino cambio di tono, intervenuto subito dopo l’impeto ai colloqui dato da Trump e von der Leyen, non è passato inosservato: solo venerdì lo slovacco aveva preso di mira le minacce americane di dazi al 50%, invocando un ritorno al «rispetto reciproco». Si riprende a negoziare sul serio e — a fronte del pressing Usa per concessioni unilaterali — la principale offerta formulata dell’Ue rimane quella di azzerare i dazi su una serie di beni industriali, tra cui in particolare le automobili: per Bruxelles, ha riferito un portavoce dell’esecutivo, la proposta è «ancora sul tavolo: riteniamo che sia un punto di partenza molto interessante per un buon negoziato», in grado di portare a un’intesa vantaggiosa per entrambe le sponde dell’Atlantico. Un approccio che non avrà vita facile alla prova “dell’America First” trumpiano.
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