ROMA Se non è una tregua olimpica ci assomiglia. Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si ritrovano all’ombra di Versailles, tra una pausa e l’altra dei giochi di Parigi. E in telecamera si salutano come vecchi amici, fra abbracci e sorrisi serafici. Pazienza se sono arci-rivali in Europa.
Prevale la realpolitik nel fugace vis-a-vis parigino. Il primo ufficiale dal G7 in Puglia che ha calato un gelo artico tra cugini d’Oltralpe, a inizio giugno. «Giorgia, sono contento di rivederti», saluta la premier italiana il francese. Lei scherza con lui sul medagliere tricolore: due ori del Team-Italia da quando è atterrata nella Ville Lumière. Niente male.
Parigi 2024, a Versailles l’incontro tra Meloni e Macron
È un incontro breve, una quindicina di minuti, bastano appena per sorvolare sui grandi dossier internazionali sospesi tra Roma e Parigi. La crisi fra Libano e Israele e l’escalation con Hezbollah che rischia di trasformare in un inferno la “linea blu” al confine e mette in pericolo la vita di centinaia di caschi blu dell’Onu italiani e francesi. Ma anche la violenta repressione di Maduro contro gli oppositori in Venezuela, Paese dove risiede un’imponente comunità italiana.
Sullo sfondo il grande rebus delle nomine europee, che vede Francia e Italia contendersi i top jobs da due sponde opposte: Macron ha votato a favore del bis di Ursula von der Leyen, Meloni si è astenuta in Consiglio europeo e ha fatto votare no a Fratelli d’Italia all’Europarlamento. Le distanze restano, eccome, ma è un segnale politico quello lanciato dai due leader dal parco dove un tempo passeggiava Re Sole. Dopo giorni di interlocuzioni tra gli staff si è trovato l’incastro last minute, a margine di una mattinata trascorsa da Meloni insieme alla figlia Ginevra. Per la leader italiana è l’occasione di smentire il racconto di un’Italia isolata dalla plancia di comando europea dopo il niet ad Ursula. A riprova di un mantra che ripete con i suoi da settimane: chi guiderà la prossima Commissione «non può permettersi» di lasciare ai margini la terza economia del continente.
Anche a Macron conviene il confronto parigino con la sua rivale europea. Se non altro serve a rimediare un mal di testa alla sua vera nemesi politica, Marine Le Pen, che nel club dei leader europei non è ancora entrata e, spera lui, non entrerà neanche fra due anni, quando tenterà un nuovo assalto all’Eliseo. La tregua parisienne, si diceva, passa dai grandi dossier internazionali. Macron e Meloni condividono i timori per «l’escalation» in Libano e promettono di coordinarsi per evitare che la polveriera mediorientale salti. Il francese ha già sentito al telefono nei giorni scorsi Pezeskian, neo-presidente iraniano. Meloni può far leva su un filo diretto con Netanyahu. L’ottimismo non dilaga nel faccia a faccia tra i leader a colloquio da soli su un divanetto. Preoccupa il destino dei caschi blu dell’Onu schierati tra Libano e Israele — più di mille gli italiani — che ora può diventare la prima linea del fronte di una guerra a tutto campo con Hezbollah e per procura con l’Iran. Nell’inerzia delle Nazioni Unite che — sono convinti a Roma — stanno facendo poco e nulla per dare garanzie alle truppe di peacekeepers.
IL NODO EUROPEO
C’è spazio per un breve passaggio sulla partita europea. Macron ha già fatto la sua mossa, spedendo nei giorni scorsi la lettera a von der Leyen per la richiesta di un commissario: vuole il bis al Mercato Interno per Thierry Breton, il super-manager amatissimo dall’Eliseo (molto meno da Ursula). Meloni attende e gioca le sue carte. Ha avuto più contatti con la tedesca a capo della Commissione, chiede un portafoglio economico rilevante e una vicepresidenza per Raffaele Fitto. Sarà così? A Palazzo Chigi, anche alla luce del disgelo olimpico, sperano che Macron non remi contro. Ma i consiglieri della premier restano prudenti: «Con lui non si sa mai…».
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