Agli Europei delle nomine, l’Italia è convinta di essersi qualificata alle fasi finali. «Siamo nella prima fascia», confida chi consiglia Giorgia Meloni in queste ore di trattative frenetiche. Domani la presidente del Consiglio dovrebbe sentire Ursula von der Leyen al telefono, a margine dell’incontro che la presidente della Commissione europea in cerca di un bis avrà con il gruppo parlamentare dei Conservatori a Bruxelles. Che ne sarà di “Ursula”? È davvero tutto appeso a una telefonata? Non proprio.
LA TRATTATIVA
Dietro le quinte i negoziati vanno avanti da giorni. Tre notti insonni aspettano la popolare tedesca, attesa giovedì dal voto di fiducia nell’Eurocamera di Strasburgo. Parte da un margine troppo ristretto — una maggioranza di popolari, socialisti e liberali di circa trenta voti — per considerare chiusa la partita.
È vero il contrario. I franchi tiratori sono in agguato, specie fra popolari e socialisti. Per questo von der Leyen ha bisogno di Meloni e dei ventiquattro voti di Fratelli d’Italia. E forse anche di qualcosa in più. La premier, che è anche presidente dei Conservatori, è disposta a impegnarsi in una discreta moral suasion all’interno della famiglia conservatrice per consegnare ad Ursula un “pacchetto” di voti più ampio. Ovviamente, solo a patto di ottenere prima garanzie sufficienti.
La «prima fascia» in cui l’Italia si troverà di diritto, spiegano a Palazzo Chigi, consiste in un poker di portafogli economici. Concorrenza, mercato interno, oppure bilancio, coesione e Pnrr. Von der Leyen ha rassicurato Roma: otterrà una di queste deleghe, o più di una. Meloni avrebbe voluto una vicepresidenza esecutiva, ma non è sicuro che “Ursula” voglia istituire questa figura per evitare di scontentare gli altri maggiorenti della sua coalizione. Nella pattuglia europarlamentare di Fratelli d’Italia fanno sfoggio di pessimismo, ma sono tatticismi. In realtà i giochi sono apertissimi.
Due i fronti della trattativa. Il primo, si diceva, riguarda le deleghe. Von der Leyen pattina su gusci d’uovo. Stretta tra le promesse alla premier italiana e il pressing dei capi di governo popolari, socialisti e liberali che l’hanno già votata in Consiglio europeo. Al solito, c’è Emmanuel Macron a ingaggiare un duello sotterraneo con il governo italiano. A proposito, non è passata inosservato il forfait di tanti ministri di FdI al ricevimento dell’ambasciata francese per la festa nazionale. Anche alla Francia spetta di diritto un portafoglio economico di peso. Quale? Parigi ha già chiesto di rinnovare a Thierry Breton la delega al Mercato interno. In alternativa, con la liberale Vestager in uscita, l’inquilino dell’Eliseo punta a incassare la delicatissima delega alla Concorrenza.
Ma i nodi da sciogliere sono tanti. Alcuni riguardano anche il programma. Ad esempio, Palazzo Chigi ha fatto sapere la contrarietà italiana all’istituzione di un Commissario al Green Deal, uno “zar” europeo della transizione ecologica indigestissima alle deste e vista di mal occhio anche a una parte consistente dei popolari. Von der Leyen tentenna. Ha già incontrato i Verdi Ue e ha bisogno come il pane dei loro voti in aula. Per di più, deve rispondere alle richieste pressanti di Pedro Sanchez, premier spagnolo e socialista che reclama per il Paese iberico proprio quella poltrona.
L’agenda dell’Ursula-bis poi non è un elemento secondario per capire se da Meloni arriverà un pollice in su o in giù. Si aspetta un segnale forte, la premier italiana, sul contrasto all’immigrazione irregolare e un endorsement pubblico al modello del Piano Mattei a cui ha lavorato a braccetto con la tedesca a capo dell’esecutivo nell’ultimo anno.
Intesa passeggera o destinata a riproporsi con la nuova Commissione? Meloni vuole vederci chiaro. Per il commissario, il nome in pole resta Raffaele Fitto, braccio destro e sinistro della leader sugli affari Ue. Peraltro forte di un rapporto ottimo con von der Leyen e gli altri commissari (oggi vedrà il lettone Dombrovskis a Roma). Resta un dubbio: se dovesse partire, a chi lascerebbe l’enorme fardello del Pnrr? A Palazzo Chigi stanno già studiando una soluzione tecnica per rafforzare l’unità di missione ed eventualmente prevedere un nuovo sottosegretario ad hoc. Accortezze che raccontano, appunto, una trattativa ancora aperta. Le jeux ne sont pait faits.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leave feedback about this