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Meloni e il gelo con Berlino: servono maggiori garanzie


dal nostro inviato

BRUXELLES «I’m fine, it’s just my face». Giorgia Meloni cammina con sguardo severo tra i corridoi dell’Europa Building. «È solo la mia faccia» recita la nuova cover blu del cellulare che stringe in mano e squilla di continuo in una giornata da cardiopalma a Bruxelles. Il cuore è la trattativa serrata dei ventisette sull’utilizzo degli asset russi che vede la premier italiana in primissima fila. Non tanto per mediare, questa volta, quanto per indirizzare una decisione che da subito ha sollevato dubbi e contrarietà a Roma. Fin dalle prime ore del mattino, quando i leader al tavolo ascoltano l’appello accorato del presidente ucraino Volodymyr Zelensky,

I DUBBI DI ROMA

Meloni ribadisce le remore italiane sull’utilizzo dei 210 miliardi di asset russi congelati nelle istituzioni finanziarie europee. Un vero e proprio Rubicone che l’Europa si prepara a varcare — è la linea — senza aver soppesato a fondo le conseguenze. Certo l’Italia non è esposta come il Belgio al “sequestro” dei fondi russi: 185 miliardi di euro sono custoditi nei depositi di Bruxelles, mentre il nostro Paese di fatto non detiene alcuna quota del tesoro russo (stime spannometriche parlano di un solo milione di euro).

Ma la questione è politica, come ha spiegato Meloni nei suoi recenti confronti con Zelensky. E sulle resistenze italiane pesano le pressioni esercitate dall’amministrazione Trump, anche nei colloqui informali con il nostro Paese, contro l’operazione asset. Alla fine la presidente del Consiglio opta per la realpolitik. Fino all’ultimo non si sfila dal concerto europeo. Sa bene che l’Italia non può restare fuori da sola con l’Ungheria del filorusso Orban una volta che il muro del Belgio, il Paese più esposto di tutti, dovesse crollare definitivamente. Ma chiede, proprio come il premier belga De Wever, precise rassicurazioni sulle garanzie legali che la Commissione europea è pronta a fornire agli Stati membri una volta che i fondi russi dovessero essere utilizzati per finanziare un maxi-prestito a Kiev. Lo fa in un round di bilaterali con i grandi d’Europa: ha un confronto a tu per tu con Emmanuel Macron, che condivide tanti dubbi italiani (la Francia detiene una quota considerevole di asset russi), ne parla con Ursula von der Leyen e con De Wever, il premier nell’occhio del ciclone. Ha un confronto de visu anche con il cancelliere Merz che con lei e il francese ha occupato le stanze del centralissimo Hotel Amigo. Con la Germania il clima si fa gelido man mano che le trattative entrano nel vivo. Da Roma a microfoni spenti accusano il governo tedesco — capofila del fronte a favore dell’uso degli asset russi — di fare il doppio gioco. Fonti governative la mettono così: «Usano come pretesto la questione morale degli asset russi — “punire” Putin per la guerra in Ucraina — come scusa per bloccare il piano B, ovvero il ricorso al debito comune europeo». Insomma, notano con una punta di veleno dal governo italiano, non è un caso se il fronte dei “frugali” in Europa coincide in pieno con gli Stati che premono per sbloccare gli asset russi congelati nel Vecchio Continente. Nelle retrovie gli sherpa studiano un piano B. La soluzione ideale per il governo italiano, spiegano fonti a conoscenza del dossier, sarebbe un’altra. Un prestito dell’Ue all’Ucraina garantito dai singoli Stati membri. Aggirerebbe il sequestro delle finanze russe nei forzieri europei e garantirebbe comunque ossigeno a Zelensky e i suoi soldati. Ma per la Germania, fanno sapere Merz e i suoi emissari, inamovibili, non è un’opzione percorribile. Perché un prestito, per quanto garantito dai singoli Stati europei, è pur sempre una forma di debito e per i tedeschi quella resta una parola tabù. Senza contare che sulla strada del prestito europeo — quella che l’Italia vorrebbe imboccare — si staglia un ostacolo chiamato Viktor Orban.

IL PIANO ITALIANO

Questo piano B passerebbe infatti da un voto all’unanimità e servirebbe dunque il voto a favore degli ungheresi. Ma non è un ostacolo del tutto insormontabile: Orban potrebbe votare a favore e poi sfilarsi in un secondo momento, decidendo di non partecipare alle garanzie. Tutto si tiene in sospeso nella notte di Bruxelles. Meloni fino all’ultimo resta cauta. E se un occhio è sulle trattative febbrili al Consiglio europeo, un altro è puntato sugli equilibri della maggioranza a Roma. Matteo Salvini ha fatto sapere in ogni modo, anche a lei, di considerare una follia il sequestro degli asset russi.La Lega batte i pugni, rema contro gli aiuti militari a Kiev e proprio in questi giorni a Palazzo Chigi meditano di allentare il sostegno militare per i prossimi mesi, puntando piuttosto sugli aiuti civili. Un cul de sac che rischia di non finire qui. Sul maxi-prestito a Kiev è infatti previsto un voto del Parlamento italiano. E c’è da scommettere che il Carroccio vorrà dire la sua.


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