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Meloni, confronto al telefono con Salvini. Dai blitz sui balneari alle politiche Ue, Ursula tratta con la leader Fdi


Non se l’aspettava. Giorgia Meloni trattiene a stento l’irritazione per lo scippo di Vox, suo arci-alleato nei Conservatori, pronto ad approdare tra i “Patrioti” di Viktor Orban e Marine Le Pen, con la benedizione di Matteo Salvini. Raccontano di una premier spiazzata da un colpo di scena che ora potrebbe rimescolare le carte delle trattative a Bruxelles sulla futura Commissione europea. Con un possibile sorpasso dei sovranisti riuniti nella nuova formazione — in cui lunedì confluirà il Rassemblement National di Le Pen, fresco di un probabile successo alle urne francesi — sulla famiglia conservatrice guidata da Meloni. A cui la Lega e i suoi alleati potrebbero sottrarre il terzo posto fra i gruppi più grandi all’Eurocamera. Mercoledì sera la leader di Fratelli d’Italia ha rotto gli indugi e tirato su la cornetta.

LO SFOGO

Una telefonata con il “Capitano” leghista, una richiesta di chiarimento. Tra gli ultimi “incidenti”, l’emendamento a prima firma del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo per chiedere di nuovo una mappatura delle spiagge italiane e rinviare a data da destinarsi le gare dei balneari, infilato con un blitz nel decreto agricoltura al Senato, poi cassato. Nonostante dal Quirinale fosse già partito l’invito a non andare allo scontro con la Commissione europea sulle concessioni demaniali. «Così è troppo», il monito della premier contro un gioco dell’alleato che ritiene pericoloso.

L’affondo contro il Colle sulle riforme, poi corretto da Meloni, rientra in questa strategia. Mette a nudo la doppia veste che deve indossare, come tanti altri che hanno abitato le stanze di Palazzo Chigi: leader del governo e di partito. «Ora lei si ritrova nella posizione in cui eravamo noi al governo con Draghi», spiega chi consiglia da vicino Salvini. Il trasloco di Vox e dei suoi sei eurodeputati, si diceva, è solo l’ultima goccia. Ieri Meloni ha avuto un contatto al telefono con Abascal. A cui non ha nascosto la delusione per lo smacco e il tradimento dei conservatori spagnoli. Sia chiaro, Meloni non si strappa le vesti per le mosse leghiste, conosce bene il pragmatismo che guida ogni volta le grandi manovre al Parlamento Ue, sa che serve ben altro per far saltare la maggioranza a Roma. E aveva messo in conto anche questo scenario. Da mesi Vox mugugnava e chiedeva di allargare il fronte conservatore in Europa. Soprattutto, di aprire le porte a Viktor Orban, il premier magiaro e migliore amico di Putin nel Vecchio Continente, ieri a spasso per Mosca fra lo sdegno dei leader Ue.

Sembrava un sodalizio possibile, finché la premier italiana e presidente di Ecr, a ridosso del voto, ha invertito la rotta. Convinta a non scavalcare una linea rossa: la linea atlantista e di sostegno all’Ucraina su cui ha scommesso la sua legacy politica. Di qui, l’operazione Vox ha iniziato a prendere forma. Con il tifo interessato dei leghisti in Ue e una lenta tessitura di Marine Le Pen e dello stesso Orban, pronti a dare vita al maxi gruppo dei “Patrioti”, senza Meloni.

Le trattative hanno subito un’accelerazione dopo il Consiglio europeo in cui Meloni si è astenuta su von der Leyen. Un tradimento, così lo descrive la premier confidandosi con i suoi consiglieri. Ora la timoniera di Palazzo Chigi è davanti a un bivio insidioso. In queste ore potrebbe avere un nuovo contatto con Ursula von der Leyen, come premier italiana e come presidente dei Conservatori europei, a cui la capa della Commissione chiederà sostegno per un bis. Il gruppo è spaccato. I polacchi del Pis di Kaczynski, che Salvini e Le Pen sperano di portare nel gruppo dei Patrioti nei prossimi mesi, voteranno contro. A favore solo i partiti che hanno responsabilità di governo, come i cechi di Petr Fiala. E Meloni cosa farà? La trattativa per consegnare in gran segreto ad Ursula i 24 voti di Fratelli d’Italia nell’emiciclo di Strasburgo il prossimo 18 luglio si complica. Von der Leyen è pronta a fare concessioni importanti. Magari non la vicepresidenza esecutiva chiesta a gran voce da Roma — vorrebbe evitare di istituire questo ruolo, per non scontentare nessuno — ma un portafoglio economico di peso: industria, Pnrr, bilancio. Forse composito. In queste ore ha confidato di essere disposta a dare all’Italia perfino la Concorrenza, il tallone d’Achille dei governi tricolori in Ue, fra procedure di infrazione e scontri aperti con le categorie allergiche alla liberalizzazione del mercato, dai balneari ai tassisti.

IL BIVIO

Il nodo però è politico. Lo scippo di Vox brucia: con gli spagnoli Meloni si è molto esposta, ha deciso di intervenire in video alla loro convention di maggio, dopo qualche esitazione, riproponendo l’ormai iconico discorso in salsa patriottica di “Yo soy Giorgia”. In aula alla Camera e al Senato, la scorsa settimana, aveva rivendicato con orgoglio il terzo posto sul podio dei Conservatori. Ora anche questo è in dubbio. La premier deve scegliere. Realpolitik di governo, o uno strappo per coprirsi a destra. Tra gli ulivi di Manduria, Antonio Tajani tesse la trama moderata. Ha sentito anche lui, di nuovo, la collega popolare Ursula, le ha consigliato di tendere in fretta una mano a Meloni. Chissà se lei vorrà stringerla.

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