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Meloni ai sindacati: «Nuovi interventi sull’Irpef». Le sigle: «Lo sciopero resta»


Cinque ore di confronto, quasi sei. Un breve rinfresco per spezzare. Dopo settimane di tensioni governo e sindacati si siedono intorno a un tavolo per parlare della manovra economica. Officia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, affiancata da Giancarlo Giorgetti e i ministri. Sul tavolo ellittico, la promessa di un nuovo intervento per tagliare l’Irpef. Dall’altra parte le parti sociali: Cgil, Cisl e Uil. Non basta il faccia a faccia però a calmare le acque e infatti le sigle, uscite dal vertice, confermano lo sciopero generale del 29 novembre. Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, annuncia la mobilitazione: «Confermiamo lo sciopero perché abbiamo illustrato le nostre richieste e il governo ha illustrato le decisioni che ha assunto».

LE ACCUSE

Con lui guida l’ala dura delle sigle il capo della Cgil Maurizio Landini: «Per quello che ci riguarda è assolutamente confermata la ragione dello sciopero generale». E pensare che gli animi sembravano distesi ieri mattina, quando la processione di sindacati e associazioni imprenditoriali ha fatto il suo ingresso nella Sala verde. Con tanto di doni offerti alla premier da Landini (il libro di Camus “L’uomo in rivolta”) e da Bombardieri (una calcolatrice), accolti tra le battute della leader del governo quasi indispettita dal segretario della Cisl Luigi Sbarra: «E lei non mi ha portato niente?», «Le abbiamo portato le nostre proposte…».

In serata, dopo la lunga maratona sulle misure economiche della finanziaria, il clima è tutt’altro. Videocollegata con il comizio del centrodestra a Bologna Meloni parla di «toni senza precedenti» dei sindacati che «invocano la rivolta sociale». «Ho chiesto come mai non abbiano fatto lo sciopero quando il tasso di disoccupazione era doppio di quello di oggi, quando il tasso di occupazione era di sei punti più basso di quello di oggi, non ho ricevuto risposte» affonda Meloni. A Palazzo Chigi è lei a prendere per prima la parola nell’incontro fiume che la costringerà a saltare la tappa a Bologna.

Difende il bilancino che ha guidato la stesura della legge di bilancio: «Abbiamo concentrato le risorse su alcune priorità fondamentali tenendo i conti in ordine e concentrandoci su una prospettiva di crescita». E mette subito sul tavolo il taglio dell’Irpef promesso dal governo. Finora è stato reso strutturale il passaggio da 4 a 3 aliquote Irpef e l’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito. Ora la sfida è «intervenire sullo scaglione successivo». Il governo lo considera uno dei piatti forti della sua terza Manovra. Di cifre e percentuali però si potrà parlare, spiega Meloni, una volta appurate «le risorse che avremo a disposizione e che arriveranno anche alla chiusura del concordato preventivo», cioè a dicembre, quando si chiuderà la finestra di un mese prevista dal concordato al centro di un decreto legge oggi all’esame del Cdm. Nell’arringa iniziale la premier fa i conti in tasca al Superbonus e si scaglia contro la misura approvata da Conte. «Trenta miliardi è il valore complessivo di questa manovra di bilancio; trentotto sono i miliardi che, solo nel 2025, costerà alla casse pubbliche il Superbonus varato dal Governo Conte 2 per ristrutturare meno del 4% degli immobili residenziali italiani, prevalentemente seconde e terze case, cioè soldi dei quali ha beneficiato soprattutto chi stava meglio».

La chiama «la più grande operazione di redistribuzione regressiva del reddito nella storia d’Italia». E difende le priorità scelte dal governo per i fondi della finanziaria. Per le famiglie con figli «bonus nido a 3.600 euro per i nati a decorrere dal 2024 in famiglie con Isee fino a 40mila euro». Capitolo imprese: la conferma del taglio del cuneo, «ora lo rendiamo strutturale e ne ampliamo i benefici ai circa 1,3 milioni di lavoratori con redditi tra 35 a 40mila euro annui, seppure con un decalage». E sugli sgravi fiscali: «ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 20.000 euro, è stato riconosciuto un bonus; ai soggetti che, invece, hanno un reddito complessivo dai 20.000 a 40.000 euro è stata riconosciuta un’ulteriore detrazione dall’imposta lorda». Non manca l’accento sul contributo chiesto a banche e settore assicurativo, una scelta «di coraggio e di credibilità».

IL GELO

Eppure le distanze restano, come lo sciopero di fine mese. Landini conferma «un pessimo giudizio» sulla manovra e critica l’aumento salariale per il pubblico impiego previsto in Manovra: troppo poco il 6 per cento a fronte dell’inflazione. E se Sbarra della Cisl spezza una lancia per Meloni e riconosce come «molte richieste siano state accolte», Bombardieri parla di «duevisioni diverse» della Finanziaria pur riconoscendo «la disponibilità al confronto» del governo sulla detassazione degli aumenti contrattuali. Insomma è ancora gelo. E i siparietti che spezzano la maratona negoziale — Meloni scherzando a Bombardieri: «Ecco, usi lei la calcolatrice per calcolare i fondi record per la Sanità..» — restano sullo sfondo di uno scontro che continua e proseguirà in piazza a fine mese.

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