15.05.2025
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Politics

Matteo Salvini, la “terza via” un po’ Bossi e un po’ Maroni: l’avviso (anche) agli alleati


Né di lotta, né di governo. O meglio: non solo di lotta e non solo di governo. Se si dovesse sintetizzare in un’espressione la due giorni di Pontida, quella di Salvini è stata l’inaugurazione della “terza via”: la “lotta nel governo” o “il governo di lotta”. Toni tutto sommato moderati, persino accomodanti rispetto agli alleati (specie verso Tajani, con il quale il leader ha battibeccato spesso, ma non questo weekend, quando invece gli ha porto le sue scuse per gli striscioni dei giovani leghisti), ma concetti molto chiari, ripetuti quasi come un mantra. Dall’Autonomia – cavallo di battaglia della Lega di ieri, di oggi e di domani – alle politiche sull’immigrazione, dall’Europa “matrigna” ai modi in cui recuperare fondi per la manovra («le banche hanno guadagnato 40 miliardi e se uno ha guadagnato tanto almeno una parte può essere restituita agli italiani», con buona pace per Mediolanum, ad esempio).

Un Salvini, per chi ama gli amarcord, in bilico tra il movimentismo bossiano e l’anima governista storicamente incarnata dal compianto Maroni. Non a caso li cita entrambi, il segretario: «Un eterno grazie a Umberto Bossi e a Bobo per averci portato fin qua», è l’omaggio fatto sul “sacro” pratone di Pontida, quello delle mille adunate e dell’ampolla con l’acqua del Po.

LA STRATEGIA

Omaggiati, Bossi e Maroni, ma anche in qualche maniera archiviati. Salvini non è nessuno dei due, o forse è un po’ di tutti e due. Perché sa, racconta chi lo conosce bene, che deve tenere in piedi entrambi i registri: quello battagliero della prima ora e quello proposto dalla Lega entrata in pianta stabile nelle istituzioni, locali e nazionali. Un messaggio agli avversari, ma (forse) soprattutto agli alleati. Quasi una dichiarazione programmatica per gli anni che verranno, quando il governo – a breve saranno due anni dall’insediamento – è davvero al giro di boa, considerando che questa chiusura della legislatura sarà anticipata. Con ogni probabilità, e contando che il governo Meloni arrivi fino in fondo, non si voterà certo a settembre 2027, con una nuova campagna elettorale estiva, ma nella primavera, tra marzo e giugno. Significa, per chi fa i conti di politica, che già a fine 2026 si entrerà di fatto in campagna elettorale. Due anni esatti, a partire da ora. E Salvini, da qui in avanti, non sembra più disposto a fare sconti a nessuno.

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I MESSAGGI

L’Autonomia «dopo 30 anni è legge dello Stato, indietro non si torna». La ricetta sull’immigrazione è «revocare la cittadinanza a chi delinque, non regalarla». In teoria è una ricetta che non confligge con lo Ius Italiae invocato da Forza Italia, ma solo in teoria, appunto. Perché l’approccio, il punto di partenza, è quasi opposto.

 Stessa cosa sulla Ue. Salvini, convocando Orban e compagni al grido di «sovranisti di tutta Europa unitevi» sta dicendo una cosa chiara: nessun patto, nessun inciucio, nessun arretramento. Fuori dalla stanza dei bottoni disegnata, bilancino alla mano, da Ursula von der Leyen? Meglio così. Fuori dalla stanza dei bottoni, per certi versi, si sta meglio. E per quanto riguarda l’Italia, se si sta dentro, ci si sta Carroccio’s style. Anche perché, e qui si viene agli aspetti più interni di via Bellerio, Salvini è costretto dal ruolo istituzionale che ha ad indossare ogni tanto la grisaglia, ma poi – specie in occasioni come quelle di Pontida – deve dimostrare di essere lo stesso di qualche anno fa, quello in felpa e con la “ruspa”. Altrimenti, all’orizzonte potrebbe profilarsi un signore in mimetica che già ieri – non avendo ruoli di governo e quindi non avendo freni – ha dimostrato di scaldare i cuori leghisti.

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