Al San Diego Comic-Con di Málaga, l’applauso più lungo è stato tutto per lui: John Gaeta, il visionario creatore del leggendario bullet time di The Matrix.
Un effetto visuale, nato dal pre-cinema, che ha ribaltato per sempre le regole della grammatica cinematografica, trasformando il modo in cui registi, VFX artist e spettatori concepiscono l’immagine in movimento. Un cambiamento, nato 25 anni fa, che ancora oggi rappresenta una delle più grandi innovazioni visive mai realizzate. Ma per il padre del bullet time, il futuro è chiaro: sarà fatto di spazi dinamici, immagini intelligenti e storie che ci obbligheranno a riflettere ancora, come accadde con The Matrix. Perché, come lui stesso ricorda: «Non si tratta solo di cambiare il cinema. Si tratta di cambiare il modo in cui vediamo la realtà».
Non era un fulmine in bottiglia.
«È interessante che la gente mi faccia ancora questa domanda dopo un quarto di secolo — esordisce Gaeta sorridendo, ripensando alla genesi di quella rivoluzione — Non era come catturare un fulmine in bottiglia. Ogni cambiamento in arte nasce da idee che circolano nel mondo, e noi abbiamo semplicemente portato a compimento qualcosa che molti stavano cercando di fare in quel periodo».
Negli anni ’90, infatti, diversi laboratori cercavano di superare i limiti imposti dalla fisica alla macchina da presa.
«Muovere una camera reale è sempre limitato dalle leggi fisiche. Ma se porti la fotografia dentro un computer, puoi creare l’illusione del movimento. All’inizio non spostavamo la macchina: la posizionavamo dove serviva. Era un’illusione, un hack di una camera virtuale».
Il bullet time è così diventato molto più di un effetto: è stato il simbolo di un passaggio epocale, dall’immagine catturata a quella costruita, con 120 fotocamere e due macchine da presa, e un’interpolazione digitale dei frame mancanti per mantenere fluido il movimento, passando così dal linguaggio tradizionale del cinema a un vocabolario visivo completamente nuovo.Dal virtuale al volumetrico. Oggi, 25 anni dopo, quella rivoluzione continua ad evolversi.
«Ora possiamo catturare la realtà e muoverci attraverso media volumetrici. Quello che allora era impossibile, oggi è routine».
La stessa tecnologia che ha reso The Matrix un fenomeno globale si è trasformata in base per esperienze immersive, mondi virtuali e ambienti 3D interattivi. Il passo successivo sarà l’intelligenza artificiale.
«Se dovessi rifarlo oggi, sì, userei l’IA. Venticinque anni fa era fantascienza, oggi è realtà. All’epoca The Matrix era un monito sul lato oscuro della tecnologia. Oggi esiste davvero una conoscenza sintetica, e presto arriverà un’IA volumetrica, capace di comprendere spazio, luce e tempo. Al momento, però l’IA simula immagini ma non conosce la fisica. Non è spazialmente consapevole. Ma quando lo sarà, potremo generare biometriche realistiche e spazi che si comportano come ambienti reali. Quello sarà il punto di svolta».
L’impatto del bullet time non è stato solo tecnico. È stato culturale. Ha ridefinito la fantascienza, ha contaminato i videogiochi, ha cambiato la grammatica delle pubblicità e persino del linguaggio giornalistico.
«Non pensi mai “cambieremo il mondo”. Metti solo cuore e anima nelle idee, sperando che arrivino al pubblico. Lo capisci solo dopo, quando le persone – come lei che ha scritto una tesi sul mio lavoro e ora mi sta intervistando – ti dicono quanto abbia contato per loro».
La sua eredità non è solo negli effetti visivi, ma nel modo in cui il pubblico percepisce il cinema stesso.
«È strano vedere la fantascienza raggiunta dalla realtà. Negli ultimi dieci anni abbiamo visto progressi enormi, per il bene e per il male. Le Wachowski si sono ispirate a fumetti e letteratura per la loro opera principe: è un ciclo continuo di idee che si alimentano a vicenda».
Tecnologia e consapevolezza: per lei il cinema tecnologico non è mai solo spettacolo. È uno strumento di riflessione collettiva.
«Le immagini che creiamo hanno il potere di cambiare il modo in cui vediamo noi stessi e il mondo».
The Matrix, con le sue domande su libero arbitrio, realtà simulata e controllo, non era solo un film di fantascienza: era un discorso politico e filosofico sull’era digitale nascente. Oggi quel discorso si rinnova.
«Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia, più che mai, non solo riflette il mondo, ma lo modella. Gli strumenti che creiamo – dall’IA alla cattura volumetrica – ci obbligano a interrogarci sulle nostre scelte, proprio come il film ci chiedeva di scegliere tra pillola rossa e pillola blu».
Dopo aver rivoluzionato Hollywood, ora guarda avanti.
«Il mio prossimo progetto è Escape.ai, una piattaforma dove vedrete nascere un nuovo tipo di cinema, basato su intelligenza artificiale generativa e game engine. Non è solo una questione tecnica, ma di liberazione delle idee. Vogliamo dare forma a un medium dove creatività e tecnologia convivano alla pari».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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