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Manovra 2026, Meloni: «Legge seria, priorità fisco e sanità. Irpef giù al ceto medio». Mattarella: squilibri sui salari


Salari troppo bassi, contratti pirata. Famiglie che arrancano per arrivare a fine mese. E poi gli squilibri, i gap che mortificano la dignità e hanno il sapore amaro dell’ingiustizia. Perché se da un lato c’è chi conta i giorni per intascare lo stipendio, dall’altro, magari sotto il tetto della stessa azienda, «risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni fra i dirigenti». Per non parlare «dei super manager», che godono «di remunerazioni centinaia o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese». A lanciare il monito è Sergio Mattarella, ieri al Quirinale per la cerimonia di consegna delle Stelle al merito del lavoro. Il Presidente della Repubblica, pur riconoscendo «il trend positivo dell’occupazione», non manca di denunciare le contraddizioni che come un virus attraversano il mercato del lavoro, con sguardo critico e un piglio di forte attenzione sociale. Si tratta di un messaggio che il Capo dello Stato ha fatto risuonare più volte in passato, ma che stavolta arriva mentre ad appena 880 metri di distanza, a Palazzo Chigi, il governo percorre l’ultimo miglio per dare via libera alla manovra. Un disco verde sofferto, giunto dopo giorni di braccio di ferro tra le forze di maggioranza, il grido d’allarme delle imprese e dei sindacati, la battaglia intentata dalle banche per evitare un obolo che alla fine si vedono comunque costrette a pagare, con buona pace di Tajani, che a notte fonda chiama i ministri azzurri per una riunione a ridosso del Cdm.

SI LIMA FINO ALL’ULTIMO

Difficile trovar la quadra, ancor più mantenere gli equilibri interni con una legge di bilancio coperta per soli 8 miliardi di maggiori entrate, per i restanti 10 tenuta in piedi da minori spese. Tradotto: sforbiciate ai dicasteri. E così si lima fino all’ultimo in Cdm, ogni ministro prova a portare acqua al suo mulino. È Giorgetti ad impugnare la penna blu. È da poco atterrato da Washington, con il jet-lag che inganna ma che non ne offusca la lucidità quando si tratta di far tornare i conti. Il ministro dell’Istruzione Valditara, che ha già mandato giù il niet al bonus per l’acquisto di libri scolastici, chiede uno sforzo in più per gli incentivi e il rinnovo dei contratti del comparto, vale a dire maestri, prof e personale Ata. Ma costerebbe troppo e la regola aurea è “conti in ordine”: ora non si può fare, più avanti si vedrà. Non è l’unico no che plana in Cdm: tutti i ministri, chi più chi meno, ne incassano. «Scontentare tutti per non scontentare nessuno», è la linea riassunta da un big del governo a taccuini chiusi. Anche se Schillaci e Crosetto, rispettivamente titolari di Salute e Difesa, hanno poco di che lamentarsi. A fine riunione, a sorpresa, la premier scende in conferenza stampa stupendo tutti, a partire dai cronisti che sulla sua assenza hanno fatto il callo. Snocciola le misure di una legge di bilancio «seria ed equilibrata» che fissa «4 priorità»: famiglia e natalità, riduzione delle tasse, sostegno ai salari e alle imprese, sanità. Meloni ci mette la faccia, complice una misura super pop come il contributo delle banche per tagliare le tasse e finanziare la sanità, da difendere sia dalle perplessità degli alleati che dai mal di pancia delle categorie colpite. Si sofferma sui singoli provvedimenti, i tasselli assemblati con fatica per costruire il puzzle della manovra 2026.

NON TEMO CONTRACCOLPI

La sabbia scorre nella clessidra, alle 13.30 a Ciampino è schedulato il volo di Stato che la condurrà a Venezia, poi in auto fino a Padova dove si celebrano i funerali dei tre carabinieri morti nell’esplosione di un casolare a Castel D’Azzano. Meloni risponde solo a due domande, nella prima si chiede conto dello scontro aperto con le banche, se non tema rappresaglie per aver tenuto il punto. «Non temo contraccolpi — dice — il mio intento non era punitivo. L’intento era di concentrarsi su delle priorità che ha la nazione: il lavoro, i salari, le famiglie, mantenendo una traiettoria di bilancio, di deficit, che ci consente di essere seri e credibili. E non siamo gli unici a beneficiare di questa traiettoria». Tradotto: è un assist anche per chi paga il conto. La seconda domanda richiama il monito di Mattarella. «Sappiamo che in Italia c’è un problema legato ai salari, che non si risolve da un giorno all’altro», ammette Meloni, che tuttavia difende l’operato della sua squadra: «nei 10 anni precedenti al nostro governo, il potere d’acquisto dei salari italiani diminuiva di oltre il 2% mentre nel resto d’Europa cresceva del 2,5%. La buona notizia è che adesso questa tendenza si è invertita. I salari hanno ripreso a crescere più dell’inflazione, quindi la strategia che il governo ha messo in campo sta dando frutti». La premier lascia la sala assieme a Tajani e Salvini, resta solo Giorgetti: «È disponibile fino a quando riterrete», scherza Meloni salutando il titolare del Mef con una pacca sulla spalla e un ironico «in bocca al lupo». Per lui il fuoco di domande, c’è chi si spinge a chiedere se consideri la legge di bilancio una manovra Robin Hood. Ma il ladro gentiluomo, che rubava ai ricchi per dare ai poveri, «era di Nottingham, e a me quelli di Nottingham mi stanno sul c…o», scherza Giorgetti, notoriamente tifoso sfegatato del Southampton. La definizione piace però ai piani alti di via della Scrofa: «noi ganzi come Robin Hood e la sinistra ridotta a Sceriffo di Nottingham. Ci sta, ci sta tutta…». A sera arriva poi la buona notizia: l’agenzia Dbrs Morningstar alza il rating dell’Italia a A (low) da BBB (High), con trend stabile da positivo. «L’Italia torna in serie A con grande orgoglio», plaude Giorgetti. Per lui è meglio di un goal del Southampton.

Ileana Sciarra

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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