12.05.2025
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Politics

«Mai più come a Beirut e cessate il fuoco a Gaza». La linea della de-escalation (su cui è d’accordo anche Macron)


«È un tempo difficile quello nel quale siamo stati chiamati a governare le nostre Nazioni». Giorgia Meloni parla in italiano, al palazzo di Vetro dell’Onu, per terminare la sua missione americana. E lo fa puntando sul ruolo che l’Italia e i «cari amici» che hanno partecipato alla 79esima Assemblea generale devono recitare ora più che mai, specie in Medio Oriente. Per la premier, che dedica il suo incipit all’Ucraina il giorno prima che il gruppo dei Paesi sostenitori di Kiev si riuniscano attorno a Joe Biden (con lei in videocollegamento che diserta pure il tradizionale ricevimento organizzato dalla Casa Bianca), «gli effetti destabilizzanti» dell’attacco di Vladimir Putin si ripercuote come un domino sul resto del mondo e in particolare in un’area in cui — in nome di «principi e valori» della Carta delle Nazioni Unite che nel 2025 compirà 80 anni — Meloni ribadisce che bisogna sì tutelare il diritto di Israele a difendersi, ma pure quello internazionale. E cioè, dice, «il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio stato» a patto che nasca da «una leadership ispirata al dialogo».

LE POSIZIONI

Arrivarci però, passa da «un cessate il fuoco a Gaza» e «dall’immediato rilascio degli ostaggi israeliani». Senza questo e un stop alle armi l’escalation regionale diventa molto più che una semplice prospettiva: «Non possiamo più assistere a tragedie come quelle di questi giorni nel Sud e nell’Est del Libano» spiega, rimarcando una preoccupazione che riguarda da vicino il nostro Paese, per il contingente Unifil di circa mille militari italiani che opera nell’area. Sulle stessa lunghezza d’onda Macron: «Stop all’escalation in Libano». Un’attenzione che è stata al centro della missione a stelle e strisce della premier che a New York ha avuto diversi bilaterali importanti da questo punto di vista. Con il leader turco Recepp Tayyip Erdogan, il principe ereditario del Kuwait Sabah Al Khalid Al Sabah e con il primo ministro dell’Iraq Mohammed Al Sudani. Tutti utili a ribadire l’urgenza di una de-escalation di cui Meloni potrebbe presto portare le motivazioni anche in Medio Oriente. Secondo quanto si apprende infatti, la premier starebbe lavorando all’ipotesi una nuova visita a stretto giro da Re Abdullah Il Ibn Al Hussein di Giordania — a margine dei lavori del Med9 di Cipro di metà ottobre — nella speranza di riuscire a raffreddare lo status quo attuale. Un auspicio destinato anche all’inviato di pace americano in Libano Amos Hochstein, con cui la premier ha condiviso il tavolo durante la sua premiazione all’Atlantic council. Nel suo ultimo discorso americano, Meloni ha snocciolato un lungo elenco di «insidie inedite» che cui «tutti dobbiamo fare i conti»: dal «bivio» a cui si trova la riduzione delle emissioni ambientali, alla «scarsità di acqua ed energia», sino «all’uso strumentale della fede religiosa» o «al dirompente avvento dell’intelligenza artificiale generativa». Sfide interconnesse alimentate da una «complessità» che secondo la presidente del Consiglio dimostrano come «i problemi del Sud Globale sono anche i problemi del Nord del mondo». Esattamente il motivo per cui serve «un cambio deciso di paradigma nei rapporti tra le Nazioni» da fondare su «rispetto reciproco» e «concretezza», relazionandosi quindi «da pari a pari» con l’altro come fatto dall’Italia durante la presidenza del G7 o, specie nei rapporti con i Paesi africani, con il Piano Mattei.

L’AFRICA

Un collegamento, quello africano, che Meloni sfrutta per rilanciare la «guerra globale» contro i trafficanti che lanciò lo scorso anno dallo stesso podio. Per la battaglia però la premier alle Nazioni Unite di «fare di più», perché le reti criminali stanno riproponendo «una schiavitù» che può essere sconfitta solo «con una maggiore cooperazione», in nome della formula “follow the money” frutto «dell’intuizione di due grandi giudici italiani, Giovanni falcone e Paolo Borsellino». C’è infatti, dice Meloni, «un filo rosso» che collega la tratta di esseri umani africana «a chi gestisce il traffico di stupefacenti» in America Latina. Anche qui, «in particolare per il popolo venezuelano», la premier ritiene sia «nostro dovere alzare la voce».

E quindi dopo aver ribadito in vista del 2025 e la necessità di «non voltarci dall’altra parte» in Ucraina, come in Israele e Palestina, chiede a tutti «di metterci in discussione». L’idea, conclude mantenendo la storica posizione italiana sul punto, è che «sarebbe un errore creare nuove gerarchie con nuovi seggi permanenti» ma che si possa discutere la riforma «senza pregiudizi». «Ogni ricompensa — la chiosa della premier che cita l’eroe rinascimentale Carlo Pisacane — la troverò nel fondo della mia coscienza».

 

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