L’industria farmaceutica italiana sta battendo ogni record. La produzione ha toccato i 52 miliardi di euro. Di questi, 49 miliardi sono esportazioni. «L’industria italiana», ha spiegato ieri Marcello Cattani, appena riconfermato alla guida di Farmindustria, nella sua relazione annuale, «è al primo posto a livello mondiale per crescita dell’export tra il 2021 e il 2023». Se l’Italia è regina nel mondo, il Lazio è sul trono italiano. Con oltre undici miliardi, è la prima Regione italiana da dove i prodotti farmaceutici partono per raggiungere gli altri Paesi. L’industria farmaceutica investe, e molto. Ben «3,6 miliardi, di cui 2 in ricerca e sviluppo», ha ricordato Cattani. L’Italia ha inoltre aumentato i propri brevetti del 35 per cento, contro una media europea del 23 per cento. Sembrerebbe il migliore dei mondi possibili. Eppure non è così. Sull’industria farmaceutica europea e su quella italiana, si addensano delle nubi. Alcune, come non di rado accade, frutto più di scelte ideologiche che razionali. Come l’indicazione contenuta nel nuovo pacchetto di regole europee, per ridurre la durata dei brevetti dei farmaci da 8 a 6 anni. Una decisione in controtendenza al resto del mondo. «Bisogna avere il coraggio di rivedere completamente la proposta di revisione della legislazione farmaceutica che indebolisce la proprietà intellettuale», ha detto Cattani.Già oggi il 60 per cento del lancio di nuovi farmaci avviene negli Usa, contro il 30 per cento dell’Europa.
IL SORPASSO
E nel 2023 la Cina ha superato il Vecchio Continente sulle nuove molecole. «Dobbiamo cercare in qualche modo di rispondere e rendere nuovamente attrattivo l’investimento in Europa», ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci. «Europa sì, ma bisogna avere delle regole che non penalizzino il nostro saper fare, il fatto che noi siamo anche la seconda manifattura in Europa», gli ha fatto eco il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Altro nodo. In Italia, ancora sopravvive il meccanismo del payback, il sistema che obbliga l’industria farmaceutica a rimborsare una quota delle spesa per farmaci eccedente i tetti fissati dalle norme. «Questo meccanismo distorto, che quest’anno arriva a circa 2 miliardi di euro, comincia ad avere delle ripercussioni sulle aziende in termini di scelte difficili sull’occupazione», ha spiegato Cattani chiedendone l’abolizione. Non è possibile che questo settore, «un fiore all’occhiello» dell’Italia», gli ha fatto eco il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, «paghi le scelte dei costi delle regioni». Altro punto dolente sono i tempi di immissione dei nuovi farmaci. «In Italia occorrono 14 mesi», ha detto ancora il presidente di Farmindustria, che confida in un impatto positivo della nuova organizzazione dell’Agenzia del Farmaco. «Un tema di competitività anche questo», ha sottolineato Orsini se, ha osservato, la Germania ne impiega due di mesi. Intanto si lavora anche sulla capacità del Paese di attrarre e, per il futuro, formare le professionalità richieste dalla trasformazione tecnologica in corso. Durante l’assemblea di Farmindustria è stato firmato un protocollo d’Intesa tra ministero dell’Università e della Ricerca, Conferenza dei rettori e la stessa Farmindustria.
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