07.09.2025
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Fashion

lunedì i funerali in forma privata. Le tappe dell’ascesa mondiale e l’eredità


Ci sono eventi che si pensa non debbano o possano avvenire mai. Giorgio Armani ci ha lasciato ieri a 91 anni compiuti da poco più di un mese. Tutto il mondo della moda, e non solo, è in lutto. «Maestro dello stile e della moda e simbolo del genio italiano nel mondo», ha sottolineato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Con la sua eleganza, sobrietà e creatività ha saputo dare lustro alla moda italiana e ispirare il mondo intero», ha detto la premier Giorgia Meloni. «Il genio di Giorgio Armani ha illuminato l’Italia degli ultimi sessant’anni», ha dichiarato Mario Draghi. Molte le voci di istituzioni, politica, grandi imprese. «Giorgio Armani è stato un maestro di stile. Con Leonardo Del Vecchio condivideva una straordinaria passione per l’eccellenza», ha detto Francesco Milleri, presidente e amministratore delegato di EssilorLuxottica. «È stato un vero genio italiano, capace di costruire un’impresa globale basata sullo stile, sulla bellezza, sulla cultura», per Alessandro Benetton, presidente di Edizione. «Piangiamo qualcuno che abbiamo sempre considerato un amico, mai un rivale», hanno sottolineato Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti. Per Maria Grazia Chiuri: «Armani ha insegnato al mondo l’eleganza del Made in Italy». 

L’ADDIO

Sulla pagina Instagram dello stilista, ieri, un messaggio a sua firma: «Il segno che spero di lasciare è fatto di impegno, rispetto e attenzione per le persone e per la realtà. E’ da lì che tutto comincia». Il comunicato diramato da azienda e famigliari afferma che quello che era da tutti chiamato con rispetto affettuoso signor Armani si è spento serenamente, circondato dai suoi cari e, infaticabile come sempre, si era dedicato fino all’ultimo al suo amato lavoro, occupandosi dell’imminente presentazione delle collezioni, ma non solo. Dipendenti e famiglia sottolineano il vuoto che lo stilista lascia, annunciando che la camera ardente sarà allestita sabato e domenica presso l’Armani/Teatro, mentre i funerali, per espressa volontà del signor Armani, si svolgeranno in forma privata. 

A luglio aveva avuto un’infezione alle vie respiratorie ed era stato ricoverato alla Madonnina, dove tutto sembrava essere andato per il meglio ed era stato dimesso. Poi, però, durante la convalescenza a casa, da dove aveva fatto diramare il comunicato che non sarebbe stato presente, come di consueto, all’uscita finale delle sfilate maschili di Emporio Armani e Giorgio Armani, la situazione si era aggravata. Anche in questo caso, però, lo stilista forse più significativo del ventesimo secolo aveva vinto la sua battaglia e si era ripreso con la consueta voglia di nuovi progetti. Era nato a Piacenza l’11 luglio del 1934. Visse la guerra sulla pelle, perché una bomba lo ferì gravemente e dovette, appena bambino, passare 40 giorni in ospedale. Da ragazzo, si iscrisse a Medicina, ma non completò mai gli studi: il suo destino era altrove. E a Milano, dove la famiglia si era trasferita nel frattempo, trovò pane per i suoi denti e quel futuro, radioso, ma anche assai complesso, che lo incoronò come Re Giorgio. 

Instancabile, attento a ogni dettaglio, sempre pronto a perfezionare ciò che era già perfetto, non lasciava nulla al caso, ma controllava ogni cosa con il suo attento sguardo di un azzurro profondo che ricordava le acque del fiume Trebbia, che scorreva vicino la sua casa d’origine. «Metto il mio sigillo su tutto quello che faccio, quindi sono sicuro di non poter incolpare nessuno per le cose che vanno storte». Leader della costruzione del suo marchio, che ampliò al lifestyle, comprendendo gastronomia e arredamento, oltre che ospitalità, con una lungimiranza impressionante, ha continuamente mostrato la sua capacità di guardare oltre la moda, pur essendo uno dei padri del Made in Italy. Iniziò ad avvicinarsi alla moda lavorando come vetrinista alla Rinascente nel 1957, pur ammettendo che «non c’è stato un attimo folgorante, non sono stato colpito come San Paolo sulla via di Damasco», ma prima ha studiato il fenomeno, con quell’intelligenza acuta che ha sempre coltivato. Le sue capacità non passano inosservate e inizia le sue collaborazioni con Nino Cerruti e con altre case di moda, però vuole qualcosa di suo. Conobbe quello che sarebbe diventato il suo socio e storico compagno di vita, Sergio Galeotti in Versilia, nell’estate del 1966. Galeotti sarebbe morto nel 1985 per una grave malattia — un dolore immenso per Armani — ma nel 1975 insieme fondarono la Giorgio Armani: l’inizio di un impero. La sua prima sfilata è stata come l’ultima: «È sempre eccitante seguire le fasi di un processo creativo. Presentare una collezione al pubblico è un po’ come mettersi a nudo ogni volta». Forse quella prima passerella fu la più sopra le righe per il suo spirito, visto che per l’uscita finale fu scelto un brano degli Inti-Illimani e tanti furono gli applausi per un debutto che vedeva una nuova donna. 
Armani capì che le dinamiche e le esigenze del potere stavano cambiando e disegnò il look di una lei androgina e determinata, e di un uomo meno rigido, offrendo ai suoi clienti abiti sofisticati e senza tempo. Il successo è stato immediato: «Quando mia sorella Rosanna e le sue amiche sono venute da me chiedendomi le giacche destrutturate che ho realizzato nella mia collezione uomo, ho visto che c’era il potenziale per qualcosa di nuovo nel mercato, poiché la società stava cambiando radicalmente». Tutto ciò proposto su passerelle dove ogni cosa era calcolata, ma senza spettacolarizzazione. «Ho inventato un nuovo modo di esprimere l’eleganza partendo da una grande rivoluzione iniziale e poi modulando tanti piccoli spostamenti intorno al nucleo centrale di quello che è il mio stile. Si possono raccontare storie, certo, ma bisogna costruirle sulla sostanza». E questa sostanza furono anche i tanti, più di duecento, film ai quali Armani ha collaborato, a partire da American Gigolo, nel 1980. L’anno dopo lanciò le linee Emporio Armani e Armani Jeans, il primo profumo donna, Armani e la linea Armani Junior. Nel 1983, aprì la prima boutique «Giorgio Armani» a Milano. Ne inaugurò poi molte altre nel mondo. 

I MEDIA

«La vera svolta è stata la copertina di Time Magazine, il 5 aprile del 1982 — raccontava — mi ha stupito e spaventato allo stesso tempo. Mi sono detto: se sei su quella copertina, la gente si aspetterà sempre il meglio da te». È del 1985 la prima onorificenza: Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. L’anno dopo, su iniziativa dell’allora presidente Francesco Cossiga, viene insignito del titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Nel 2021, è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a farlo Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Non mancala Legion d’Onore, conferitagli in Francia dall’allora Presidente Nicolas Sarkozy. 

Nessun compiacimento fine a se stesso, insomma, ma la voglia di migliorarsi sempre, di alzare sempre un po’ l’asticella, come quando, nel 2005, ha deciso di prendersi Parigi e di regalare alla sua già sfavillante carriera anche la perla dell’alta moda, sempre attenta, pacata, raffinata e profondamente amata da tutto il jet set. In quelle occasioni usciva in passerella con un look leggermente rinnovato: al suo outfit di pantaloni e maglia blu aggiungeva una giacca e, ultimamente, indossava una camicia candida con cravatta come omaggio all’haute couture, quella che ha raccolto nel suo Armani/Silos in un’affascinante retrospettiva per ricordare e festeggiare i vent’anni di questa affascinante e coraggiosa avventura. 

«La mia uniforme è il mio modo di dire: «Creo vestiti e un milione di altre cose, quindi non ho tempo per pensare troppo al mio look». Ma ci sto comunque prestando attenzione perché sono pur sempre uno stilista e un uomo con un’estetica precisa». Ci aveva confidato di aver sempre lavorato in modo totalizzante e «forse se tornassi indietro lascerei più spazio ai miei affetti, ma penso che i rimpianti non servano. Cerco di ritagliarmi più tempo che posso per godere della compagnia di amici e famigliari». Soprattutto questo accadeva nella sua isola, Pantelleria, in una casa che «è un sogno disegnato su una roccia». 
 


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