Sull’Ucraina continua a piovere il fuoco russo. Sempre di più. In un solo mese, «circa 2.800 droni d’attacco, quasi 3.000 bombe aeree guidate e 140 missili di vario tipo» ha scritto ieri su Telegram Volodymyr Zelensky, contabilizzando un’escalation nel numero di attacchi. Un monito diretto ai Paesi del G7 riuniti a Kananaskis: «Ecco perché è così importante che nelle prossime settimane vengano prese tutte le decisioni per rafforzare le sanzioni contro la Russia — ha aggiunto Zelensky — Abbiamo bisogno di limiti di prezzo che fermino la guerra. Abbiamo bisogno di sanzioni contro le banche russe e il settore finanziario, che siano davvero dolorose. Dobbiamo anche combattere i piani per eludere le sanzioni». Zelensky ha detto più volte di sperare di «avere un colloquio» con Trump per perorare la causa di un aumento delle sanzioni. Ma il club dei Grandi rischia di deludere le sue aspettative. Se la presenza del presidente ucraino conferma, da una parte, il sostegno che il G7 continua a garantire a Kiev, lo scetticismo umorale, misto a impazienza e a totale imprevedibilità di Donald Trump, ha già da tempo incrinato il campo occidentale.
LO SCENARIO
Giovedì, il presidente americano si è detto «deluso» da entrambe le parti: «Sono molto deluso dalla Russia, ma anche dall’Ucraina, perché penso che si sarebbe potuto trovare un accordo». L’unico accordo che tiene per ora è quello sullo scambio di prigionieri raggiunto a Istanbul: ieri, i corpi di 1.200 ucraini sono stati restituiti da Mosca alla loro terra. Ma la moltiplicazione e soprattutto l’interconnessione dei teatri di crisi complica il quadro. Dopo Gaza, l’Iran. I droni iraniani che piovono sull’Ucraina, i missili nordcoreani che rafforzano l’arsenale russo, le tecnologie cinesi che alimentano la macchina da guerra di Putin: la rete geopolitica sfida ormai le tradizionali logiche compartimentate che strutturavano le decisioni del G7. L’escalation israelo-iraniana degli ultimi giorni sta sconvolgendo l’agenda degli incontri di Kananaskis, e Zelensky, invitato esterno accanto ad altri partner non meno strategici come India, Messico, Sudafrica e Corea del Sud, rischia di ritrovarsi a fare tappezzeria. I leader del G7 dovranno giostrarsi tra i dossier ucraino e mediorientale, due crisi ormai interconnesse nel gioco delle alleanze incrociate. L’Iran, fornitore di droni alla Russia, è allo stesso tempo l’avversario di Israele e il nemico indiretto dell’Ucraina. Un’alchimia che potrebbe – in teoria – convincere Trump a muoversi contro Mosca. È quanto sperano gli europei. Ma l’incendio mediorientale sta inceppando il meccanismo finanziario delle sanzioni. Il prezzo del Brent ha ormai superato i 74 dollari, ben al di sopra del tetto europeo. Più il prezzo globale sale, più diventa difficile convincere Washington ad abbassare ancora il tetto. Per l’Europa, il G7 canadese rappresenta un banco di prova: o riesce a trascinare Trump nella sua scia contro l’aggressività rinnovata di Putin, o si schianterà contro il desiderio trumpiano di prendere le distanze dalla guerra in Ucraina e ricominciare a parlare di business con la Russia. Le capitali europee e Ursula von der Leyen puntano sulla continuità del sostegno americano, mentre preparano febbrilmente il dopo-guerra. Questo approccio a doppio binario – mantenere la pressione militare su Mosca, delineando i contorni di una pace duratura – è una visione europea di lungo termine non necessariamente condivisa da un’America stanca di conflitti lontani. Le crepe atlantiche rischiano di diventare voragini nel fronte occidentale. Un’occasione d’oro per Vladimir Putin, che è pronto a infilarsi in ogni minimo pertugio di discordia. Non a caso, fonti diplomatiche europee, a Berlino e a Parigi, ripetono la stessa cosa: «la cosa più importante è che riusciamo, come G7, a mandare un segnale di unità», «quello che ci si aspetta innanzitutto è poter riaffermare l’unità del G7». Un imperativo di unità che rischia però di tradursi in posizioni più sfumate – e meno incisive – sulle sanzioni contro Mosca.
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