Non ritratta, anzi rilancia. È un booster: «Il comitato sui vaccini? Certo, rifarei tutto». Montecitorio, giovedì pomeriggio. Orazio Schillaci affretta il passo mentre scende le scale. Quasi passa inosservato mentre una folla circonda il vicepremier Antonio Tajani in Transatlantico nel giorno dello scontro frontale governo-opposizioni sulla guerra a Gaza.
Inafferrabile da un mese, il ministro della Salute non si presenta a eventi pubblici da quando è finito al centro di un vero e proprio caso politico nel governo. La scelta di azzerare la commissione sui vaccini “Nitag” del ministero per la presenza di due medici considerati “no-vax” ha fatto infuriare metà centrodestra e soprattutto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Da allora, non una dichiarazione del ministro-professore, già rettore di Tor Vergata. Rompe il silenzio con Il Messaggero.
IL CASO DEI NO VAX
«Io sono tranquillissimo, vediamo che succede. Non mi sento sfiduciato dalla premier» sorride Schillaci mentre si avvia all’uscita, addosso un gessato beige. Gli chiediamo se ha avuto ripensamenti su quel passo indietro che ha messo sulla graticola politica il ministero di Lungotevere Ripa. Ovvero l’esclusione de-facto dall’organo consultivo sui vaccini dei medici “no-vax” Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite (entrambi negano di esserlo).
Neanche un po’, risponde lui a domanda. Cortesissimo. «Sì, lo rifarei. Quella commissione a dire il vero non è mia, negli anni passati non era stata mai convocata». Pausa. «Non conosco di persona questi due medici. So solo che di vaccini e vaccinazione devono parlare i medici esperti di questa materia».
Altro che dietrofront. Pensare che a Palazzo Chigi, da Meloni e Salvini in giù, sono tanti a vederla diversamente. Quando Schillaci ha azzerato la commissione da lui stessa nominata lasciando a casa i camici bianchi scettici sulle immunizzazioni solo Forza Italia si è lanciata in un sonoro applauso. Come un pezzo delle opposizioni. Poi un fiume di distinguo. In casa. A partire da Meloni che non ha usato mezzi termini con i suoi. Una revoca «non concordata», lo sfogo a caldo della leader riportato da questo giornale. Fratelli d’Italia e il governo — la linea — credono «nel pluralismo e nel confronto». Perfino Francesco Lollobrigida, ministro amico e nume tutelare del professore a capo della Sanità italiana, ha avuto da ridire.
Insistiamo con Schillaci: ministro, perché allontanare i medici no-vax dalla Commissione? E il pluralismo? «Vengo dal mondo scientifico e quel mondo ha le sue regole» risponde caustico. Insomma sui vaccini non si scherza. Né si dovrebbe fare troppa politica, dice ancora il ministro che rivendica la sua natura di professore prestato al palazzo. «Sì, sono un tecnico, un professore universitario» scandisce appoggiandosi alla ringhiera.
Di qui allarga il discorso. «Vede, la salute è un patrimonio da preservare, andrebbe tolta dall’agone politico. Abbiamo uno straordinario servizio sanitario nazionale, al netto delle tante difficoltà di chi ci lavora ce lo invidiano nel resto del mondo, la salute è il tema che più interessa alle persone». E allora ministro? «Allora la sanità è di tutti, è anzitutto dei cittadini e non dovrebbe essere politicizzata».
Pensare che nell’agone politico la sanità ci è entrata eccome. Di nuovo. Prendi la Lega e Matteo Salvini che hanno colto la palla al balzo dell’affaire “Nitag” per rilanciare un’antica battaglia del Carroccio. Ovvero la crociata contro l’obbligo vaccinale per i minori previsto dalla legge Lorenzin. Morbillo, tetano, poliomelite, sono dieci le immunizzazioni a cui gli under-16, per legge, non possono sottrarsi.
Nei giorni di passione del ministero, a metà agosto, era stato proprio il vicepremier e segretario leghista ad aprire un nuovo fronte. «Dirsi dubbiosi sull’obbligo vaccinale, che non c’è nella maggior parte dei Paesi europei, non penso sia antiscientifico, penso sia di buonsenso». Seguì stoccata al dicastero di Schillaci, dopo una difesa d’ufficio: «Lì qualcosa non va..». Mentre risale a inizio settembre un documento interno di Fratelli d’Italia che invita i pm a indagare sulle responsabilità del ministro Speranza e del Cts, ai tempi della pandemia del Covid, su eventuali pressioni per somministrare vaccini «anche al di sotto i 60 anni di età, nonostante le evidenze scientifiche suggerissero di procedere altrimenti». Ma la campagna sanitaria è trasversale e vede in trincea anche il campo largo a sinistra. Sulle case di comunità, le liste d’attesa, i vaccini appunto.
«NON SI TOCCA LA LORENZIN»
Torniamo a Schillaci, sulle scale interne della Camera. Ministro, rivedrete la legge Lorenzin? Insomma l’obbligo vaccinale resta? «Rivedere l’obbligo? Non esiste. Non è nel programma del centrodestra e nessuno me ne ha mai parlato. Ognuno ha le sue idee ma questa cosa non è all’ordine del giorno». Più chiaro di così. Calpesta a grandi falcate il tappeto rosso di Montecitorio. È atteso a Palazzo Chigi per il Consiglio dei ministri.
«Vedete, io ci vado in Cdm, altroché» scherza il ministro-rettore. Un po’ segnato, forse, da questo mese sull’altalena. Il caso vaccini che scoppia a Ferragosto, i rimbrotti anche durissimi da parte della maggioranza. E al ministero la trincea di Schillaci, convinto di restare a fare il suo lavoro. Ce n’è fin troppo. Dalle liste di attesa allo “scudo” dei medici approvato in una versione soft dal governo, dopo non pochi ripensamenti, il menù sanitario del centrodestra a Palazzo Chigi è ricchissimo.
Schillaci ha la fama del mite, rivendica con orgoglio la natura di “tecnico”, una vita tra cattedra e corsia. Dicono sia molto stimato dal presidente della Repubblica. Profilo basso. Bassissimo nell’ultimo mese per sfuggire alle polemiche e ai riflettori. Prima il forfait al Meeting di Rimini, dov’era atteso da un esercito di telecamere. Dunque tre settimane di ordinaria amministrazione, casa-lavoro, zero sortite stampa. Fino ad oggi.
Sente ancora la fiducia del vertice. Se non l’ha già fatto, Meloni lo vedrà a breve per sgombrare il campo: per qualsiasi decisione, specie su temi delicati e di impatto elettorale come le vaccinazioni, serve un avallo politico dall’alto. Il professore però non ritratta. Reintegrare Serravalle e Bellavite nel comitato? «Ma no, non è una commissione così importante» minimizza allargando un sorriso. Saluta e corre via. Il Cdm lo attende. «E scrivetelo: io ci vado sempre in Cdm».
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