«Se il Movimento 5 stelle e il Partito democratico non si fidano di chi hanno messo all’Authority della privacy, non se la possono prendere con me. Forse dovevano scegliere meglio». Aeroporto di Fiumicino, ora di pranzo. Giorgia Meloni sta per salire sul volo Ita che la porterà al comizio del centrodestra a Bari. Ma prima di mettersi in coda al gate, si ferma a parlare con Il Messaggero e altri quotidiani sulla bufera esplosa attorno al Garante della Privacy. Con Pd, M5S e Avs che chiedono in coro l’azzeramento dell’Authority e il passo indietro del suo presidente Pasquale Stanzione e degli altri membri del collegio, dopo l’ultima puntata dell’inchiesta di Report di domenica sera. Durissima, sul punto, era stata in mattinata la segretaria dem Elly Schlein. «Emerge un quadro grave e desolante sulle modalità di gestione dell’Autorità garante che rende necessario un segnale forte di discontinuità. Penso che non ci sia alternativa alle dimissioni dell’intero consiglio», aveva avvisato la leader del Nazareno. Seguita dagli esponenti pentastellati in commissione di vigilanza Rai. «Non ci sono più alibi: il Garante va azzerato subito», la protesta del Movimento, che parla di un «covo di conflitti d’interesse, favoritismi, spese folli e legami politici imbarazzanti» e insiste: «Serve una nuova autorità trasparente, che risponda ai cittadini e non a via della Scrofa».
Polemiche a cui la premier – chiamata in causa dalle opposizioni anche per l’incontro nella sede di FdI tra Agostino Ghiglia, membro del Garante, e Arianna Meloni – sceglie di replicare. Dimissioni? «L’Authority è eletta dal Parlamento», risponde Meloni ai cronisti prima di imbarcarsi. «Non abbiamo competenza sulla possibilità di azzerarla: è una decisione che casomai spetta al collegio. Però – aggiunge la premier – una cosa la voglio dire: questo Garante è stato eletto durante il governo giallo-rosso, quota Pd e 5s e ha un presidente in quota Pd. Dire che sia pressato da un governo di centrodestra mi pare ridicolo». Un sistema da cambiare, quello delle nomine “politiche” in un’autorità indipendente? «Si può discutere sulla legge – replica ancora la presidente del Consiglio – ma non l’ho fatta io manco quella».
Parole che finiscono per gettare altra benzina sul fuoco. Dall’aula di Montecitorio, mentre presenta la mozione dei progressisti sulla libertà di stampa, torna all’attacco Giuseppe Conte. «Le istituzione di garanzia non possono diventare succursali di partito o di Colle Oppio. Meloni dichiara di non avere competenza? Quanta ipocrisia. C’era competenza quando si scambiava i messaggini con Ghiglia?», affonda l’avvocato, citando un passaggio dell’inchiesta di Report. Poi annuncia: riporteremo in aula la nostra proposta di legge sul conflitto di interesse. Idea a cui plaude Schlein: «Pronti a sostenerla, è necessario regolare i conflitti di interessi in questo paese». Alla Camera intanto il dibattito infuria: Federico Mollicone, di FdI, attacca il giornalismo «a tesi» di Report, programma che «vuole impedire al centrodestra di governare» e «viola le comunicazioni di un parlamentare tutelate dalla Costituzione».
L’APERTURA
Ma ecco che in serata FdI apre, seppur con una punta di ironia, alle opposizioni. Invocano lo scioglimento dell’autorità nominata durante il governo Conte II? «Favorevoli, con grande slancio e giubilo, allo scioglimento di qualsiasi ente o autorità nominata dalla sinistra», punge il meloniano Giovanni Donzelli. «Premesso che nei sistemi democratici lo scioglimento delle autorità indipendenti non compete alla politica, non saremo certo noi a difendere il Garante targato Pd-M5s». Apertura che in realtà pare più tattica: i membri del Garante resteranno in carica fino al 2027, senza possibilità di essere rimossi dal Parlamento. A meno che non decidano loro di dimettersi. Ma non pare questa l’aria che tira: contattato dal Messaggero, Ghiglia esclude l’ipotesi. Lo stesso fa Guido Scorza, componente in quota 5S. Che in un’intervista a Repubblica prima annuncia la possibilità di lasciare, salvo poi precisare a Rainews che «la scelta, per ora, è stata quella di restare». Il collegio arriverà a fine mandato?, gli chiedono. «Parlo per me: certo che sì».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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