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Palazzo Chigi è pronto ad aprire le porte a Volodymyr Zelensky per un bilaterale con la premier Meloni. L’incontro, atteso oggi alle 15, arriva a seguito di un tour del presidente ucraino già passato per le sedi più importanti di Londra e Bruxelles; e cade in un periodo complicato, per l’Europa e per l’Ucraina, in cui entrambe cercano di recuperare terreno mentre la stretta del legame tra Washington e Mosca sembra volerle relegare ai margini dei tavoli che contano.
Ora, Meloni è pronta a tentare di coniugare le due sponde dell’Atlantico, pur di non perdere l’appoggio, considerato fondamentale,degli Stati Uniti. Di fronte a Zelensky un bivio storico: mai così vicini alla pace, eppure ancora lontani dal poter evitare il rischio di una resa incondizionata.
Per la terza volta in un anno, quindi, Giorgia Meloni incontrerà il suo omologo ucraino. Sul tavolo i punti più delicati.
L’approccio di Meloni non è un mistero: lo ha ripetuto anche ieri, quando dopo la riunione a Londra tra Starmer, Macron e Merz (a cui lei non ha partecipato), si sono uniti a loro anche le altre cancellerie europee rimaste inizialmente ai margini. La necessità, dice, è fare fronte comune su poche ma sostanziali modifiche. Quanto basta per salvare il negoziato senza strappare con gli americani.
Tra gli argomenti in grado di portare il gelo nella stanza, ma ormai impossibili da evitare, c’è quello dei territori da cedere. La Russia reclama tutto il Donbass, anche le zone che non controlla, mentre Zelensky non è affatto pronto ad accettare queste condizioni. Gli europei cercano un compromesso che non sia una resa totale, e tra le proposte spunta quella di congelare la linea del fronte e salvaguardare almeno le aree che i russi non hanno conquistato. Una mediazione che Meloni proverà a sostenere.
Il tema dei confini resta complicato, ingombrante. Sarà discusso, inevitabile, ma non è lì che ci si giocherà tutto.
Le attenzioni devono andare altrove, su obiettivi dove trovare un accordo può essere più semplice. Per ottenere quelle poche ma sostanziali modifiche, secondo la premier bisognerà, allora, concentrate l’attenzione su «solide garanzie di sicurezza» e sull’«individuazione di misure condivise per il sostegno all’Ucraina e alla sua ricostruzione». Da un lato lo “scudo” per scoraggiare future aggressioni russe. Un pacchetto che deve tenere insieme più proposte: una garanzia modellata sull’articolo 5 della Nato, come chiede l’Italia; ma anche la presenza di truppe europee di pace a presidio della tregua, come proposto da Macron, Starmer e dai Paesi “volenterosi”.
Tuttavia, dentro quella formula delle «misure condivise», spiegano in ambienti di governo, non può rientrare un riferimento implicito all’utilizzo degli asset russi congelati, tema su cui in Europa il confronto resta acceso. E su questo, all’interno della coalizione di centrodestra, la frattura è evidente: la Lega continua a opporsi, spingendo perché i beni colpiti dalle sanzioni vengano restituiti a Mosca.
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