Anche un anno di attesa per una mammografia. Il responso della piattaforma di sorveglianza, attivata dal Ministero della Salute, su visite ed esami è in chiaroscuro: sulle emergenze la risposta è mediamente in tempi accettabili, per tutte le altre prestazioni la situazione è difficile e spesso il cittadino rinuncia o ricorre al privato. Il ministro Orazio Schillaci assicura: «Ora abbiamo uno strumento efficace per intervenire, abbiamo i dati. Da settembre potremo agire, quando sarà necessario, con i poteri sostitutivi per affrontare le criticità. Non vogliamo fare delle pagelle sulle Regioni, ma aiutarle a risolvere i problemi».
Ministro, lei ha varato una serie di provvedimenti, ma c’è ancora molto da lavorare. Cosa si può fare per tagliare le liste di attesa?
«Finalmente abbiamo una piattaforma trasparente con i dati sulle attese forniti dalle Regioni. Rispecchiano puntualmente la situazione Asl per Asl, prestazione per prestazione. Partendo dai dati oggettivi, si può agire. Vero, ci sono ancora dei casi di grande difficoltà con ritardi inaccettabili nell’erogazione di alcune prestazioni essenziali. Ma con i dati alla mano, che fino ad oggi non c’erano, possiamo migliorare e credo che quindi siamo sulla strada giusta. Il quadro è a macchia di leopardo, ma in alcune Regioni si notano già dei miglioramenti per l’introduzione della legge».
Perché per ora sono online solo i dati delle attese generali e non suddivisi per Regione?
«È un processo graduale, diffonderemo tutti i dati in modo trasparente».
Ricorrerete ai poteri sostitutivi quando servirà? Vale a dire: la legge prevede che l’Organo di sorveglianza richiami la Regione se individua una criticità e, se il problema non viene risolto, agisca direttamente. Su questo ci sono state frizioni con le Regioni, poi però è stata raggiunta un’intesa.
«Esatto, abbiamo trovato un accordo. E in caso di difficoltà non esiteremo a fare scattare il meccanismo in maniera non punitiva nei confronti di questa o quella Regione, ma in forma oggettiva e proattiva. Puntiamo a risolvere il problema. E c’è una piena collaborazione con le Regioni nell’interesse dei cittadini».
Entro giugno 2026, in applicazione del Pnrr, devono diventare operative le Case di comunità anche con la partecipazione dei medici di famiglia. Ad oggi però si parla di ritardi.
«No, non è vero, gradualmente il processo di apertura di queste strutture sta andando avanti. Sono convinto che tutte saranno pronte entro giugno del prossimo anno. Anche perché la maggioranza delle Case di comunità sono già partite. Io sono fiducioso che riusciremo a rispettare i tempi».
Una delle cause delle liste di attesa, che lei denuncia da quando è alla guida del Ministero della Salute, è l’eccesso di prescrizioni di visite mediche ed esami inappropriate. A volte i medici prescrivono ai pazienti prestazioni non necessarie e questo va inevitabilmente a ingolfare il sistema. Intervenire con delle limitazioni però rischia di apparire impopolare.
«Non abbiamo inserito direttamente, nel decreto sulle liste di attesa, delle norme sull’inappropriatezza perché non volevo che passasse il messaggio che si tagliano le prestazioni per i cittadini, che si puntasse a negare visite mediche ed esami. Non è questo il nodo. Il tema è che constatiamo un incremento evidente delle prescrizioni. Noi dobbiamo assicurarci che ogni cittadino abbia accesso agli esami e alle visite di cui ha realmente bisogno e che lo abbia nei tempi giusti».
All’origine dell’eccesso di prescrizioni spesso c’è la medicina difensiva: il medico chiede esami e visite specialistiche per cautelarsi nel caso di un futura denuncia del paziente o dei suoi familiari.
«Esatto. Stiamo lavorando per far sì che la misura legislativa dello scudo penale da temporanea diventi definitiva. Vogliamo che i medici siano più tranquilli nell’esercizio della loro professione. Però è chiaro che il tema appropriatezza va affrontato anche utilizzando le nuove tecnologie. Penso ad esempio che potrà aiutarci l’intelligenza artificiale: potrà essere utile per identificare le prestazioni di cui veramente ciascuno ha necessità. Non credo in provvedimenti coercitivi, ma bisogna far capire, in primis ai cittadini, quando un esame o una visita specialistica sono utili».
Per tagliare le liste di attesa serve anche risolvere il problema della carenza del personale.
«Su questo abbiamo due scenari differenti per i medici e per gli infermieri. Sul fronte medico dobbiamo rendere più attrattiva la professione. Dobbiamo puntare su capitale umano. Lo dico da quando sono diventato ministro. La parte migliore del Servizio Sanitario Nazionale pubblico italiano sono gli operatori. Vanno salvaguardati, vanno pagati meglio, bisogna ridurre il carico burocratico. Bisogna dare ai giovani che scelgono di fare i medici, per esempio, una maggiore flessibilità. Una maggiore possibilità di fare carriera. E bisogna rendere più attrattive alcune specializzazioni che oggi non lo sono: cito oltre al pronto soccorso, la radioterapia e l’anatomia patologica. Siamo già intervenuti aumentando i corrispettivi economici per i giovani che scelgono alcune di queste specializzazioni».
Per trovare gli infermieri che mancano cosa si può fare?
«Mancano in Italia, ma mi creda, mancano in tutta Europa. Mancano in altre nazioni come gli Stati Uniti o il Giappone. Non si può non guardare all’estero, in alcuni Paesi in cui c’è disponibilità, per reclutare infermieri. Insieme a questo però bisogna rivalutare anche la professionalità dei tanti infermieri italiani. E rendere più attrattivo il corso di laurea in scienze infermieristiche. Di certo, per fare partire la medicina territoriale e dunque le Case di comunità, dovremo arruolare anche infermieri dall’estero. Alcune Regioni si sono già mosse in questo senso anche se dobbiamo sempre valutare di trovare infermieri da Paesi in cui il percorso formativo di un infermiere sia simile a quello in Italia. Tenendo anche conto del problema della lingua. Come soluzione per il futuro però dobbiamo pagare di più gli infermieri per convincere i giovani a scegliere questa professione».
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