17.12.2025
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Politics

l’intervento di oltre un’ora, gli affondi a Schlein e la (nuova) campagna elettorale


Non fa il gesto di calzare l’elmetto, ma lo indossa eccome: obiettivo politiche del 2027, «perché questo governo resterà in carica fino a fine legislatura, fatevene una ragione». Giorgia Meloni scalda i motori ad Atreju, dove cala l’ultimo asso di una campagna elettorale perenne. Parla un’ora e due minuti di fila accendendo una platea che ha riempito la sala a tal punto che si sta tutti in piedi, stretti come sardine. Non ci sono bandiere di partito a colorare la sala, ma si respira destra fino al midollo, fosse altro che la sinistra «che rosica» è la nemica giurata della premier, che la cita a ogni passaggio. 

Gli affondi a Schlein

«Questo è il luogo in cui tutte le idee hanno diritto di cittadinanza.

Questo è il luogo in cui Nietzsche e Marx si danno la mano. In cui il valore delle persone si misura sui contenuti. E chi scappa dimostra di non avere contenuti», esordisce. E giù applausi scroscianti perché nel mirino mette subito Elly Schlein, che si è sfilata dal confronto a tre, una trappola tesa da Meloni con l’assist di Giuseppe Conte. Che la premier ringrazia per la sua presenza alla kermesse, assieme a «Bonelli, Renzi, Marattin Calenda, Magi. Ma voglio ringraziare anche Elly Schlein che con il suo nannimorettiano ‘mi si nota di più se vengo o sto in disparte o se non vengo per niente’ ha comunque fatto parlare di noi», l’affondo. E a seguire un’altra sciabolata: «La cosa divertente è che il presunto campo largo l’abbiamo riunito noi e quella che dovrebbe federarli è l’unica che non si è presentata». Per lei in platea ci sono tutti: è una “Meloniland” al completo, presenti anche la figlia Ginevra accompagnata dall’ex compagno Andrea Giambruno. C’è il partito in gran spolvero, in prima fila anche i due vicepremier che hanno preso la parola prima di lei. Anche per loro un’accoglienza caldissima, ma come per Giorgia, che è la padrona di casa e la star della festa, non ce n’è per nessuno. E lei toglie la giacca di ordinanza per restare in maniche di camicia, meno presidente del Consiglio e più Giorgia.

La sinistra come nemico

Dal palco di Atreju, due anni fa, sferrò l’affondo contro il pandorogate di Chiara Ferragni, quando la vicenda della benificienza di plastica era ancora uno strapuntino. Ora il nemico torna quello di sempre, la sinistra e i suoi volti: non solo Schlein — il bersaglio privilegiato — ma anche il leader della Cgil Maurizio Landini, la «comunista che non rende quando deve alle case popolare anche ora che guadagna 15mila euro al mese» Ilaria Salis, «la paladina del Pd Francesca Albanese». Affonda il dito nelle divisioni di un fronte che fatica a stare insieme. E che dovrebbe farsi gli scongiuri da solo, ironizza. «Parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo e il governo sale nei sondaggi. Hanno tentato di boicottare una casa editrice ed è diventata famosissima. Si portano sfiga da soli, che manco quando te capita la carta della pagoda al Mercante in fiera. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe prendendo questa edizione di Atreju la più intensa e partecipata di sempre». Dice di non sentirsi sola, la premier: «guardatevi  un po’ intorno», indica con orgoglio la sala gremita. Dice che il centrodestra è unito, sgomberando dal campo le chiacchiere, con la Lega che getta ombre sul sostegno all’Ucraina un giorno sì e l’altro pure. Rivendica quanto fatto in questi tre anni di governo, cita i titoli celebrativi del Financial Times, de Le Monde, di Bloomberg, che riconoscono a lei e al suo governo il lavoro fatto da quelli che, a inizio corsa, venivano tacciati come degli «impresentabili». Difende l’Europa — «non è al  tramonto, non è un pachiderma inutile» — ma non dagli affondi di Donald Trump, a cui riconosce una lettura comunque veritiera. «Ci sono state valutazioni molto allarmate perché Trump ha detto in maniera più decisa che gli Usa intendono disimpegnarsi e gli europei devono organizzarsi per difendersi da soli: buongiorno Europa, per ottant’anni abbiamo appaltato» la nostra sicurezza «pensando che questo giorno non sarebbe venuto e che fosse gratis» ma aveva il prezzo del «condizionamento».

La campagna elettorale

Ma nel suo intervento lascia poco spazio alla politica estera, Ucraina compresa. Come campagna elettorale insegna, privilegia le battaglie identitarie portate avanti sin qui: i centri per migranti in Albania — con tanto di puntura alla magistratura — il lavoro per il Sud, gli sforzi per le famiglie, la battaglia contro il velo sulle donne islamiche, quella sull’educazione sessuale nelle scuole, perché «lo Stato non può sostituirsi alle famiglie, alle mamme e ai papà». Promette che andrà avanti sulle riforme, dal premierato all’autonomia  differenziata, e difende la riforma della giustizia, che metterà fine a vicende «come la vergogna di Garlasco». E in ogni passaggio tira in ballo la sinistra, rea a suo dire di remare sempre contro. Persino sulla cucina italiana patrimonio immateriale dell’umanità: «hanno rosicato e da una settimana mangiano dal kebbabaro, roba da matti…», ride raccogliendo applausi. Per lei 63 minuti di affondi, antipasto della campagna elettorale che verrà. Fila via a bordo di una 500 bianca, niente auto blu di ordinanza. E anche questa, del resto, è una scelta che sa di campagna elettorale.


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