È ora dell’affondo decisivo per l’Italia. Sin dal suo insediamento il governo Meloni conduce la sua battaglia per correggere in Europa un pacchetto di regole, il Green Deal, che punta a obiettivi sacrosanti di decarbonizzazione al 2050, ma lo fa con strumenti, modalità e scadenze che rischiano di azzerare intere filiere dell’industria europea. Qualche traguardo importante è stato anche raggiunto finora con la modifica delle regole sulla gestione degli imballaggi. Ma resta il “no” alla direttiva sulle case green e allo stop alla produzione di motori endotermici nel 2035. Ed è ora che questo “no” pesi a dovere a Bruxelles. Non solo perché l’Europa sembra si sia lasciata definitivamente alle spalle la linea ideologica alla Timmermans. La stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel suo discorso di luglio ha annunciato di voler approcciarsi con «pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione» sui tempi del Green Deal. Ma anche perché la designazione di Raffaele Fitto tra i big della nuova Commissione fa ben sperare. L’obiettivo è arrivare a dei correttivi che garantiscano risultati sul fronte della sostenibilità con un minore impatto sull’economia e sugli equilibri sociali.
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I TEMPI
Dunque, il primo passaggio cruciale di questa rotta è fissato per l’11 settembre, quando si terrà la conferenza dei capigruppo del Parlamento Ue a cui parteciperà Ursula von der Leyen. In questa occasione la presidente dovrebbe finalmente formalizzare la delicata questione delle deleghe. Con l’Italia che resta ottimista sulla possibilità di portare a casa la vicepresidenza semplice della Commissione e continua a sperare in quella esecutiva. Poi, molto probabilmente la prima settimana di ottobre, i commissari indicati arriveranno ai giudizio delle commissioni competenti del Parlamento europeo.
Nel frattempo, il governo intende imprimere un’accelerazione decisiva alla rotta tenuta finora dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, per correggere la roadmap della transizione green. E si partirà dal dossier auto.
«Non possiamo aspettare la fine del 2026 per rivedere gli obiettivi del Green Deal, altrimenti rischiamo il collasso dell’industria automobilistica europea e l’invasione di Bruxelles da parte degli operai in rivolta», ha fatto sapere ieri il ministro Urso confermando una linea cara alla premier Giorgia Meloni.
I MARGINI
Urso ha ben presente i tempi laschi della burocrazia europea e, soprattutto dopo i segnali preoccupanti arrivati dalla Germania sul settore auto, spingerà per introdurre una volta per tutte il principio della neutralità tecnologica per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni: l’elettrico deve essere una delle opzioni e non l’unica soluzione. Insisterà dunque per far passare l’utilizzo dei biocarburanti, come soluzione per raggiungere le emissioni zero. Poi i tempi. Il 2035 è una scadenza troppo vicina. E se l’industria Ue la prende davvero per buona, correggendo gli investimenti e l’assetto delle fabbriche, si rischia l’effetto domino tra le filiere dell’auto Ue.
La battaglia sui veicoli elettrici si aprirà dunque già il 25 settembre a Bruxelles, ha annunciato Urso, in occasione di un vertice sul settore promosso dall’Ungheria. Urso presenterà la proposta di anticipare alla prima parte del 2025 la revisione sullo stop alla produzione di veicoli endotermici al 2035, prevista originariamente per il 2026. Lo stesso ministro rilancerà poi la proposta il giorno successivo al consiglio dell’Ue sulla competitività.
Che sull’auto i tempi siano maturi per procedere con una revisione allo stop all’endotermico al 2035 lo sostiene anche il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini. «Non siamo solo noi a esplicitare qualche dubbio sul tutto elettrico dal 2035», ha chiarito Salvini, «Adesso si è accorta anche la Germania e quindi immagino che saremo più fortunati». Il Green Deal ha poi spiegato, «lo fai con il cambio di modalità operativa e lavorativa».
In questo quadro secondo il ministro Urso l’Europa «rischia il collasso» a causa della concorrenza dei costruttori cinesi, favoriti dalla maggior disponibilità di materie prime per le batterie e dai costi di produzione più bassi, proprio mentre i gruppi europei si devono attrezzare per convertire all’elettrico le loro linee di montaggio entro il 2035. «Il processo del Green Deal», ha spiegato Urso, «prevede una clausola di revisione entro la fine del 2026, ma chiunque conosca il sistema produttivo sa che gli investimenti si fanno se c’è certezza». Avanti di questo passo diventa un problema la sopravvivenza dell’intera industria automobilistica europea, «incapace di sostenere il rischio che le è stato imposto senza adeguate risorse e investimenti pubblici».
Oltre al riconoscimento del valore dei biocarburanti, l’Italia punterà a una maggiore progressività nelle tappe da raggiungere. «Se, invece, si vogliono mantenere tempi stringenti, ha concluso il ministro, occorre sostenere l’industria con imponenti risorse pubbliche europee, con un piano tipo Pnrr per l’automotive». E comunque la tempistica deve essere «adeguata alla sostenibilità economica produttiva e sociale del nostro Paese». Un principio che si vuole far valere anche per il dossier case green.
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