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«L’assassino non era solo». L’ematoma, l’impronta e gli indizi che fanno pensare a più persone


La vita di Chiara e le sue amicizie, i rapporti con i colleghi di lavoro e con le cugine, le ricerche online e i frequentatori della villetta di via Pascoli. L’inchiesta della Procura di Pavia sull’omicidio di Garlasco, con Andrea Sempio indagato, potrebbe ampliare il raggio d’azione con l’inserimento di altre persone a cui sarà prelevato il dna da comparare con le tracce biologiche sugli oggetti della scena del crimine, mentre gli inquirenti scandagliano atti e i reperti. Con un punto fermo già posto nel 2020 dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano nella relazione inviata ai pm: evidenziando «lacune» e «aspetti poco coerenti con la dinamica del delitto», si rileva, «fermo restando gli elementi a carico di Stasi bisognerebbe quantomeno prendere in considerazione la presenza di un correo».

IL LIVIDO

A sostegno di questa ipotesi ci sono tre elementi. Un’ecchimosi, con escoriazione, indicata in sede di autopsia dal medico legale Marco Ballardini. Una relazione che ricostruisce omicidio e scena del crimine depositata nel 2009 dal consulente della difesa di Alberto Stasi. E l’impronta numero 10, una ditata vicino alla maniglia interna della porta d’ingresso della villetta, non ancora attribuita. Se cinque processi hanno stabilito che il 13 agosto 2007, quando è stata uccisa Chiara Poggi, nella casa di via Pascoli c’era un solo assassino, il lavoro della Procura esplora un’ipotesi alternativa: l’omicida non era da solo. A febbraio 2009 il professor Francesco Maria Avato, incaricato dai legali di Stasi, firma una relazione di 144 pagine il cui fulcro è: la vittima, come si evince dalle gocce di sangue sul pavimento, è stata sollevata in posizione prona. «Chi scrive ritiene, sulla base dei rilievi e del peso della ragazza, che il trasporto del corpo richiedesse per essere eseguito l’attività di almeno due persone. È quindi da supporre che una persona sostenesse gli arti inferiori e un’altra provvedesse a sollevare il tronco», illustra Avato. Un primo, benché flebile indizio compare nel rapporto autoptico del dottor Ballardini, datato novembre 2007. «La lesione ecchimotico-escoriata, localizzata sulla parte anteriore della coscia sinistra, sembra assumere un carattere “figurato” corrispondente a un calpestamento violento mediato dal tacco o dalla punta di una scarpa», si legge. Una descrizione che evoca un’impronta femminile e non sembra collimare con le calzature con suola a pallini attribuite all’assassino nel suo percorso dal salone alla cucina, al ciglio delle scale dove viene trovato il corpo e poi al bagno. Scarpe da uomo, modello Frau numero 42, hanno stabilito i giudici. Non hanno il tacco e ne sono prive anche le Lacoste consegnate pulite da Stasi ai carabinieri. Infine l’impronta 10, che non ha i sedici punti minimi di comparazione richiesti per una identificazione certa bensì solo otto, utili però a escludere che sia di Sempio — a cui è attribuita la 33 sul muro delle scale — di Stasi, delle gemelle Cappa o di qualcuno della compagnia di Marco Poggi. Chiara era una ragazza seria e senza ombre. Ma chi le stava intorno? È ciò che stanno approfondendo gli inquirenti, che hanno riascoltato i famigliari, gli amici, chi lavorava con lei. Aveva un Nokia azzurro e la collega Francesca ha riferito anche di un secondo telefono, descritto come «apribile e di piccole dimensioni». Del quale, stando a ciò che mette a verbale il 17 agosto 2007, Stasi ignorava l’esistenza: «Non sono a conoscenza se Chiara avesse in uso altre utenze telefoniche mobili», risponde a domanda diretta.

IL CORTEGGIATORE

Racconta però di un corteggiatore in ufficio, «mi aveva detto che ogni tanto ci aveva provato con lei, che aveva piccole attenzioni, ma da quando gli ha detto che era fidanzata non le ha più offerto i caffè. Io ho chiesto a Chiara spiegazioni, ma lei minimizzava la cosa o ci scherzava sopra». Nel Nokia aveva registrato cinque numeri dello zio Ermanno Cappa, padre delle gemelle Stefania e Paola i cui rapporti con la cugina pare fossero competitivi. Riferisce Maria Ventura, madre di Maristella, amica della vittima: «Mia figlia apprendeva da Chiara che le due gemelle erano molto invidiose del suo tipo di vita che loro traducevano con la parola “successo”. Mi disse che durante la festa di laurea di Chiara sia Paola che Stefania avevano dato l’impressione di corteggiare Alberto, cosa che l’aveva infastidita anche perché diceva che quelle “erano capaci di tutto”». Le gemelle (mai indagate) sono nella lista di persone sottoposte a prelievo del dna, l’avvocato Massimo Lovati — legale di Sempio — non chiederà l’inserimento di altri nomi: «Indagini difensive? Allo stato stiamo fermi, dal momento che quelle “offensive” sono al nulla».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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