Ha già un vissuto sportivo da veterano, ma i modi di fare e il sorriso sono quelli di sempre, impermeabili al passare del tempo. Renato Paratore, 28 anni, romano, talento indiscusso del golf italiano, cresciuto al Parco di Roma, ha da tempo, nonché da subito, messo da parte ogni pesante riferimento alla fama di nonno Ettore, illustre latinista, sui cui testi si sono preparati migliaia e migliaia di studenti. Oggi è ancora un giocatore in cerca della sua dimensione definitiva, continuamente in bilico tra l’essere un campione e un buon giocatore. Qui all’Argentario si appresta a giocare il suo 14° Open d’Italia, il primo nel lontano 2012, al Royal Park di Torino, quando non aveva ancora compiuto 16 anni, e lo fa su un campo che conosce bene, perché da sempre la zona è stata scelta per le vacanze di famiglia.
Per lei è un vantaggio?
«Sulla carta sì, anche se ogni volta mi stupisco di come un percorso preparato per un grande torneo risulti diverso da quello che sei abituato a conoscere. Ma questo campo è un po’ la mia seconda casa e devo cercare di affrontarlo nel migliore dei modi. Non vedo l’ora di cominciare».
Ci arriva da leader stagionale del Challenge Tour, dove ha conseguito già due vittorie. Che cosa c’è dietro la rinascita?
«Il lavoro, innanzitutto. Con Alberto Binaghi stiamo curando ogni aspetto del gioco, in particolare su quello lungo, per il quale devo cercare costanza di rendimento. Sul gioco corto, invece, le cose sono andate sempre abbastanza bene. Con l’esperienza, però, ho capito quanto sia importante l’aspetto mentale e anche su quello stiamo lavorando»
Quanto hanno inciso sulla sua autostima le due vittorie a distanza di sette giorni negli Emirati arabi in aprile?
«Sono state decisive. Mi hanno ridato fiducia, e nuovo slancio. Soprattutto la seconda che ha avuto il valore della conferma. La vittoria, a qualunque livello, ha questo di speciale: ti aiuta a credere in te stesso e certifica che sei sulla strada giusta».
Com’è stato l’impatto con il Challenge per uno abituato ai palcoscenici più grandi?
«Non è stato facile, dopo tanti anni di Tour maggiore, sul quale vanto anche due successi, accettare di confrontarsi in un contesto meno prestigioso. Sul Challenge, inutile negarlo, tutto è diverso, dalla qualità del field — forte, ma certamente non all’altezza del primo circuito — alla preparazione dei percorsi. Ma non avevo scelta, ho dovuto accettarlo. E in fondo è stato un bene perché mi ha permesso di resettarmi. Il resto lo hanno fatto le vittorie, che sono la cura migliore».
Il suo ritorno sul Tour maggiore sembra essere scontato. Con un’altra vittoria, però, vi accederebbe direttamente. Andrebbe benissimo anche quella all’82° Open d’Italia…
«Per un italiano rappresenta il massimo e per me lo sarebbe in particolare, considerato che in qualche modo gioco in casa. Un italiano non lo vince dal 2016, quando Francesco Molinari si impose a Monza. Per ora, so che mi presento all’appuntamento in forma. Il primo obiettivo è quello di fare un grande Open e su questo sono concentrato. Il resto potrebbe venire di conseguenza. Chissà…».
Aspettando di tradurre in realtà i buoni propositi, da buon tifoso segue le sorti della sua Roma?
«Assolutamente sì ed è stato un gran sollievo finire alla grande la scorsa stagione dopo le sofferenze iniziali. Tutto merito di Ranieri, che è davvero un grande».
Adesso c’è Gasperini: soddisfatto della scelta?
«Direi di sì. Mi sembra che sia molto bravo e sono convinto che farà molto bene. Anche se io resto legato a Mourinho. Poteva pure essere antipatico, ma a me piaceva. E pure tanto».
E lo dice con malcelata nostalgia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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