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«L’anno prossimo Stefani sarà a Pontida da governatore»


PONTIDA — È l’elefante nella stanza, a Pontida. Che succede alle regionali d’autunno? Non è un mistero che Matteo Salvini puntasse a incassare da Giorgia Meloni la candidatura di un leghista in Veneto in tempo per l’adunata leghista. Così da poter rivendicare col suo popolo di aver tenuto duro contro le pretese degli alleati di FdI, che puntano a «riequilibrare» i rapporti di forza. Soprattutto sopra il Po. Niente da fare: i meloniani, finora, hanno opposto un muro. E con ogni probabilità non se ne riparlerà fino all’esito del voto nelle Marche il prossimo fine settimana.

IL SEGNALE

Ma che il Capitano puntasse comunque a dare un segnale ai suoi si era capito già prima della vigilia del raduno. Quando nella scaletta, oltre agli interventi del segretario federale, del ministro Valditara e del vice Vannacci, era comparso quello di un altro vice, il segretario lighista Alberto Stefani. Il nome in pole, almeno a via Bellerio, per succedere a Luca Zaia, che sul pratone arriverà oggi, insieme agli altri governatori. Ed ecco che dopo aver incassato l’ok del “Doge”, ieri il nome di Stefani ha ricevuto pure l’imprimatur, pubblico, di Salvini. «Prima di me ha parlato un ragazzo di 32 anni. Noi non imponiamo niente a nessuno – premette il vicepremier – ma spero che l’anno prossimo venga con la maglietta di San Marco a salutare il popolo di Pontida. Sarebbe il governatore più giovane d’Italia». Niente Mario Conte (sindaco di Treviso), niente assessori uscenti zaiani: il Carroccio punta – ufficialmente – su Stefani. E il fatto che Salvini lo formalizzi a Pontida, a sentire le voci che corrono nella Lega, fornisce più di un indizio. Potrebbe essere, in altre parole, il segnale che gli alleati siano disposti a cedere finalmente ai desiderata del Carroccio. O almeno è questa la convinzione che circola sotto il tendone di Pontida, dove già il giovane segretario lighista è acclamato come governatore in pectore. Perché se dal tavolo romano del centrodestra fossero arrivate previsioni più fosche, per la Lega, forse il vicepremier non si sarebbe sbilanciato, lanciando quello che qualcuno interpreta come un piccolo sgambetto agli alleati.

«Speriamo di rivederlo qui per l’ultima volta come parlamentare», ci scherzano su pure gli organizzatori della festa. Lui, intanto, si guarda bene dal commentare. E sul palco si guarda bene dall’entrare nelle beghe venete. No, meglio concentrarsi su Charlie Kirk: «Chi difende chi ha ammazzato un giovane di 31 anni padre di due figli non merita di parlare», scandisce Stefani, camicia bianca e piglio già istituzionale.

LA CONTROPARTITA

E con la Lombardia, che si fa? Sul Pratone di “scambi” col Veneto nessuno vuol sentir parlare. «In Lombardia si vota nel 2028, perché parlarne adesso?», risponde Alessandro Verri, 30 anni, capogruppo della Lega a Milano. E se il Pirellone fosse “ceduto” a FdI, in cambio della riconferma in Veneto? «Mi fido di quello che deciderà il partito», risponde diplomatico. Più diretti i militanti che affollano il tendone, parecchi dei quali in maglietta verde simbolo di stagioni passate («Padania libera», si legge, anche se tanti altri indossano la t-shirt dedicata a Kirk). «La Lombardia? È la regione più importante d’Italia, con dieci milioni di abitanti. Ed è ben governata dalla Lega. Perché cambiare?», si domanda Mario, che a Pontida viene dal ‘92. Oggi firmerà la carta per la Lombardia presentata dal capogruppo in Senato (e segretario lombardo) Massimiliano Romeo. Una lista di richieste e priorità che richiamano stagioni passate: dagli stipendi differenziati a seconda del costo della vita a più margini di manovra per le regioni sui propri capitoli di spesa, fino a una legge per poteri speciali a Milano, sul modello di Roma. Un modo per tenere buona la vecchia anima nordista, che a Pontida è ancora presente, in attesa che entri a regime l’autonomia differenziata. «Se non ci riesce questo governo, non ci riusciamo più», sospira un altro militante lombardo. Nel frattempo, ci si consola per il Veneto difeso dalle pretese dei meloniani. O almeno, così si spera.


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