Il disordine non è più confinato alle mensole della libreria o all’armadio, ma è emigrato nel regno virtuale. Per la Generazione Z e i Millennial, il fenomeno del «Digital Clutter» — l’eccessiva e disordinata collezione di file, foto, screenshot e app inutilizzate — non è affatto un innocuo problema di spazio di archiviazione, ma una vera e propria sindrome psicologica che provoca ansia, affatica la capacità decisionale e rallenta la produttività. Questa nuova forma di accumulo, infatti, rivela un profondo disagio della nostra era iper-connessa.
Il peso cognitivo del «tutto è importante»
Il Digital Clutter è così insidioso perché, a differenza del disordine fisico, può essere facilmente ignorato a livello visivo, ma pesa costantemente sulla nostra mente, generando quello che la psicologia definisce «rumore cognitivo». I ricercatori evidenziano che ogni file non organizzato, ogni screenshot dimenticato e ogni notifica non letta agisce come un piccolo «peso cognitivo» che compete per l’attenzione del cervello. Analisi sul benessere mentale in ambito digitale, come quelle pubblicate da piattaforme specializzate in psicologia, stabiliscono infatti un chiaro legame tra questo disordine e l’aumento dello stress, portando a una Decision Fatigue, ovvero un affaticamento decisionale cronico.
Dietro la difficoltà a premere il tasto «elimina» si nascondono motivazioni psicologiche profonde che richiamano la classica Disposofobia o accumulo compulsivo.
La spinta più forte è l’ansia di perdere un’informazione che potrebbe rivelarsi utile in futuro: questa mentalità del «just in case» alimenta l’accumulo compulsivo di dati. Allo stesso tempo, si osserva un forte attaccamento sentimentale e identitario: molti file digitali, come vecchie chat o foto sfuocate, sono percepiti come estensioni della propria identità o depositi di ricordi. Studi come quelli citati da LifeCycle Transitions hanno rilevato che l’attaccamento emotivo ai «possessi» digitali rende la cancellazione un processo faticoso e fonte di disagio.
L’ansia dei file e i dati sulla salute mentale
La ricerca scientifica supporta il legame tra l’accumulo digitale cronico e il peggioramento dei disturbi dell’umore. L’ossessione per il Digital Hoarding non è senza conseguenze: alcuni studi, sempre citati da LifeCycle Transitions, suggeriscono che questo comportamento può spiegare quasi il 19% della varianza nei livelli di depressione e il 15% in quelli di stress. È un fenomeno particolarmente rilevante per la Gen Z, una fascia di popolazione già afflitta da alti livelli di ansia, che vede nel clutter un ulteriore fattore di sovraccarico.
La battaglia contro il Digital Clutter non è solo una questione di liberare gigabyte e spazio sul cloud, ma di riconquistare lo spazio mentale. L’ossessione emergente per l’ordine virtuale che inizia a farsi strada tra i giovani è la sana reazione di una generazione che cerca, in ogni modo possibile, di stabilire confini in un mondo di informazioni illimitate.
                            © RIPRODUZIONE RISERVATA
                            
                        


					
					
					
					
					
					
																		
																		
																		
																		
																		
																		
Leave feedback about this