15.05.2025
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Fashion

la svolta etica. Ecco i brand che le usano ancora


Maculato dal sapore bon ton e quasi un po’ retrò, fantasie pitonate in tutte le nuance possibili, total look tigrati e leopardati dominano le passerelle invernali di quest’anno, scatenando un’attitudine wild anche nelle più scettiche. Il fascino dello spirito animalesco e il gusto esotico non sono quasi mai tramontati nella moda e ciclicamente vengono risvegliati dagli stilisti con rivisitazioni contemporanee. Lo stile animalier che pervade il settore abbigliamento così come quello degli accessori costringe, però, tutta l’industria della moda a una riflessione sull’origine dei materiali. Per questo ha fatto molto clamore la decisione della London Fashion Week, la settimana della moda britannica, di mettere al bando l’uso di pelli di animali esotici. Niente coccodrilli, pitoni, rettili e simili nei modelli che sfileranno a Londra, dal prossimo 25 febbraio al 3 marzo 2025. 

Londra segue l’esempio di Copenhagen

Si tratta della prima delle quattro principali settimane della moda a vietare le pelli di animali esotici dalle sfilate, a partire dal 2025, obbligando di fatto tutti gli stilisti che parteciperanno alla kermesse ad eliminare dalle loro collezioni pelli di animali come coccodrilli, alligatori e serpenti. Una decisione che è la naturale evoluzione etica della LFW, da sempre fucina di nuovi talenti e di avanguardie nella moda, che già nel 2023 ha messo al bando le pellicce dalle sue passerelle. Ora ha alzato l’asticella, seguendo l’esempio di altre manifestazioni della moda, meno patinate di quelle di Parigi, Londra, Milano e New York, che hanno mostrato già maggiore sensibilità su questo tema, da Melbourne (2022) a Helsinki (2019), da Stoccolma (2020) a Copenhagen (2024). Il prossimo passo sarà quello di eliminare anche le piume degli uccelli, così come chiesto da molti animalisti.

Il boicottaggio dell’uso di pelli esotiche

Si tratta di una svolta epocale per il mondo della moda, se si considera che a pelli pregiate come quelle di coccodrillo, pitone e serpente sono legati elevati margini di guadagno e un’idea di esclusività difficile da ottenere con le varianti più etiche e sostenibili. È per questo che brand come Hermès e Louis Vuitton, che fanno dell’unicità il loro manifesto di stile, non rinunciano facilmente a questi materiali, attraendo su di loro proteste e critiche delle associazioni animaliste e boicottaggi sui social attraverso l’hashtag #dropcroc (lasciate i coccodrilli). 

La svolta etica della moda

È innegabile che la moda abbia cambiato pelle e sembrano lontanissimi i tempi in cui Naomi Campbell posava per la campagna Peta del 1995 con lo slogan “I’d rather go naked then wear fur” (meglio nuda che in pelliccia), creando scandalo e dando vita al filone cruelty-free. Ora non servono più campagne scioccanti perché i consumatori sono già sensibilizzati verso questi temi e dimostrano di preferire le alternative vegane, grazie anche al lavoro svolto da molti ambassador della moda e dagli stessi brand che hanno rinunciato alle pellicce già da anni, a partire da Calvin Klein, tra i primi a scendere in campo per dire no alla real fur, e poi ancora Armani, Vivienne Westwood, Stella McCartney, Chanel, Burberry, Balenciaga, Alexander McQueen, Valentino, Prada. Anche l’innovazione ha dato il suo contributo alla causa, permettendo di raggiungere alti canoni qualitativi ed estetici anche senza l’utilizzo di pelli animali, ma partendo da materiali naturali (ananas, cactus, mela, cocco, sughero) o da fibre sintetiche. 

Mancanza di regole e controlli

Ma le regole sono ancora poco chiare ed omogenee. C’è un problema di tracciabilità della filiera perché non è possibile catalogare tutte le varianti di animali esotici utilizzati nella produzione di articoli di moda e non si riesce a tener sotto controllo il commercio illegale di queste specie. E poi c’è il problema dell’uniformità delle regole: le uniche disposizioni che in qualche modo disciplinano le modalità di gestione e uccisione di animali “esotici” al fine di ricavarne pelle, sono le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità mondiale (OIE), contenute del Codice Terrestre e limitate alle sole specie dei rettili. Come sottolinea un report di LAV (Lega Antivivisezione), ad oggi non esiste una legge nazionale/europea che regoli le delicate fasi di cattura, allevamento, trasporto, uccisione di animali “esotici” destinati alla produzione di pelle. Si capisce come l’industria della moda possa avere un significativo impatto sullo sfruttamento di questi animali selvatici e l’impegno di stilisti e brand possa segnare il passo verso un reale cambiamento.

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