13.05.2025
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Politics

«La stabilità utile anche alla sinistra. Legge elettorale, pronti al dialogo»


Una riforma «fondamentale» perché fa sì che «il voto dei cittadini conti davvero». E che in fin dei conti, è convinto il capogruppo di FdI nel Senato Lucio Malan, «conviene anche alla sinistra: vorremmo che la stabilità degli esecutivi fosse la regola, anche quando non siamo noi a governare».

Eppure il primo sì al premiato arriva sulla scia delle proteste, in Aula e in piazza. Vi aspettavate questo clima rovente?

«Abbiamo assistito a un tentativo di alzare molto i toni. C’era da aspettarselo, vista l’abitudine della sinistra a gridare alla democrazia in pericolo quando le riforme costituzionali fanno gli altri. Quando sono loro a cambiare 53 articoli della Carta come si proponeva Renzi, e non 7 come nel nostro progetto, va tutto bene».

Con le opposizioni si può ricucire il dialogo?

«Lo spero. Come spero che si possa aprire un dibattito sul merito della riforma, finora assente, con l’unica eccezione forse di Italia viva. Gli altri hanno posto un aut-aut: disponibili a dialogare, ma non sull’elezione diretta. Che è come dire: giochiamo a calcio con voi, ma decidiamo noi il campo e se portare o no la palla».

E allora su quali aspetti si può trovare un accordo?

«Il testo attuale, già frutto di una mediazione dal momento che il nostro modello di partenza era l’elezione diretta del capo dello Stato, è un ottimo punto di partenza. Sono gli altri che e devono suggerire possibili miglioramenti. Siccome rispettiamo le prerogative del parlamento, non resteremo sordi alle proposte di modifica. Non sordi, ma neanche proni a ogni richiesta».

E la legge elettorale? Doppio turno o premio?

«Questo è uno degli aspetti su cui siamo pronti al dialogo. Lo dimostra il fatto che non c’è alcun pacchetto preconfezionato: siamo aperti ai contributi».

Intanto alla Camera accelera l’Autonomia, e c’è chi lo legge come uno scambio Lega-FdI.

«Nessuno scambio: un accordo politico con cui si è concordato di portare avanti insieme queste riforme, così come quella della giustizia. Riforme che peraltro erano nel nostro programma. Sull’Autonomia poi, aggiungo questo: stiamo solo dando attuazione a una riforma costituzionale varata dalla sinistra nel 2001, con un margine molto risicato. E lo facciamo offrendo garanzie in più alle regioni che non si avvalgono delle maggiori autonomie. Assurdo sentirsi lanciare accuse anche pesanti da chi quella riforma l’ha voluta».

Di revisioni della Carta si parla da decenni. Perché questa dovrebbe essere la volta buona?

«Innanzitutto perché c’è una maggioranza coesa che ha i numeri e la forza per portare a termine il lavoro in Aula. Al referendum, poi, giudicheranno serenamente gli italiani. Ed è difficile immaginare che cittadini dicano no alla possibilità di scegliere loro, per davvero e per la prima volta, da quale presidente del consiglio vogliono essere governati».

Ribatte l’opposizione: questo modello di “premierato” non esiste in nessun altro Paese al mondo.

«Così come il cancellierato esiste solo in Germania e il modello inglese solo nel Regno unito. Rilancio: in nessun altro Paese un premier sbuca dal cilindro senza alcun vaglio elettorale, come accaduto con Conte o altre autorevoli personalità. Seppur rispettosa della Costituzione, è questa la vera anomalia italiana».

Stando ai risultati delle Europee, un’opposizione unita potrebbe battervi al referendum.

«Ai referendum i partiti danno le loro indicazioni, ma poi votano i cittadini. Parleremo anche agli elettori del Pd: questa riforma non serve a rafforzare il governo Meloni, già forte di suo, ma a dare stabilità ai governi in genere. Non c’è alcuna catena che impedirà al parlamento di liberarsi del premier sfiduciandolo, ma vorremo che la stabilità fosse la regola, non l’eccezione. Questo serve anche alla sinistra: il loro governo più longevo è durato due anni».

Se gli italiani diranno no, il governo cadrà?

«Il governo è lì dov’è perché il 25 settembre 2022 gli italiani gli hanno dato un’ampia maggioranza. Rispetteremo il responso delle urne quale che sia, ma il governo Meloni ha il dovere di andare avanti. Renzi dopo aver perso il referendum si dimise, sì, ma perché era arrivato lì senza passare dal voto. Lo stesso fece D’Alema nel 2000. Non è il nostro caso. Anzi, la riforma serve proprio a fare in modo che questo non succeda più».

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