La spending review si allarga nella speranza di raddoppiare gli obiettivi previsti: cioè i due miliardi di euro che nel 2024 devono recuperare. O meglio, parallelamente sta prendendo forma un altro intervento in questa direzione accanto ai 2 miliardi chiesti per l’anno in corso a tutti dicasteri, che devono tagliare le cosiddette “spese discrezionali di dotazione”. Cioè quelle necessarie alla gestione di queste strutture.
Ad agosto Giancarlo Giorgetti, infatti, ha chiesto un ulteriore sforzo ai suoi colleghi: nei tavoli organizzati dal Mef con gli altri ministeri per delineare gli obiettivi della prossima manovra — al momento saranno necessari non meno di 25 miliardi — via XX settembre ha indicato di monitorare gli interventi finanziati negli ultimi anni, di valutare se questi soldi sono stati spesi e, soprattutto, di tagliare quelle misure che non hanno portato benefici allo sviluppo del Paese oppure ai destinatari dei provvedimenti stessi. In poche parole, guardando nel bilancio di casa propria, i singoli dicasteri devono ridurre l’importo o cancellare quegli interventi — vuoi per mancanza dei decreti attuativi, vuoi perché hanno registrato una platea molto limitata di beneficiari — la cui spesa è di fatto congelata.
In questo modo Giorgetti potrebbe ottenere un doppio risultato: responsabilizzare maggiormente i colleghi e trovare risorse per ulteriori misure di sviluppo in prospettiva di una legge di bilancio dove i margini di manovra sulla spesa sono oggettivamente risicati. Quindi, no a tagli lineari, ma a una rimodulazione della spesa stessa, con il focus di ritrovarsi almeno un paio di miliardi in più.
La logica è semplice: fatti salvi alcuni capisaldi come il cuneo fiscale (10,7 miliardi per confermare lo schema attuale di decontribuzione per i redditi fino a 35mila euro), un nuovo alleggerimento all’Irpef per aiutare la pressione fiscale sul ceto medio (mantenere l’accorpamento dei primi scaglioni dell’Irpef costa 4 miliardi) o gli 1,9 miliardi per la Zes unica del Mezzogiorno, chi vuole mettere in campo nuove proposte, deve anche studiare come finanziarle. Progetto molto ambizioso, viste le continue lamentale che arrivano dai principali dicasteri sulla scarsità di munizioni a disposizione. Senza dimenticare che, come ricordano le associazioni datoriali, in questi casi bisogna intervenire con il bisturi e non con l’accetta. Anche perché — nel gioco di tagli e cuci che contraddistingue tutte le manovre — per esempio il sistema ferroviario ha visto slittare 2 miliardi di euro di investimenti al 2026 per rinnovare la rete. Certo, parliamo di un comparto che ha beneficiato dei fondi e dei previsti del Pnrr, ma lo stesso discorso può essere alle strade o all’edilizia pubbliche, che hanno dovuto spalmare in un biennio in più rispettivamente 2,2 miliardi e un miliardo di euro, creando non pochi problemi alle imprese che direttamente o indirettamente si muovono in questi settori.
Detto questo, in tutte le amministrazioni il monitoraggio sui bilanci è andato avanti per tutto agosto nella speranza di delineare le prime ipotesi di rimodulazione. E quest’argomento sarà sicuramente al centro del tavolo politico sulla legge di bilancio, previsto per venerdì prossimo tra i leader del centrodestra e il ministro Giorgetti. Il quale questa mattina rientrerà al Mef dopo le vacanze e dovrebbe fare il punto con i suoi dirigenti (in primis quelli della Ragioneria) e valutare le prime simulazioni sugli interventi.
Ma quali potrebbero essere i veicoli di spesa da rimodulare? Per esempio il ministero delle Imprese e del Made in Italy potrebbe rivedere alcuni fondi settoriali per provare ad ampliare la dotazione — 1,7 miliardi — per i contratti di sviluppo. Il ministero della Giustizia da tempo punta a rivedere — con un tariffario — le dotazioni delle singole procure per le intercettazioni per utilizzare questi soldi per velocizzare i processi, per esempio in ottica di “degiurisdizionalizzazione”, per la mediazione extragiudiziara. Dal canto suo, il ministero degli Interni potrebbe “risparmiare” le spese per gestire le strutture per ospitare gli immigrati — anche per la diminuzione degli sbarchi — e aumentare le risorse per l’accoglienza dei minori non accompagnati: più di 22mila quelli censiti in Italia nel 2023.
Intanto va avanti anche il dossier sulle tax expenditures, cioè i 604 sconti fiscali a famiglie e imprese, che causano una perdita di gettito per l’erario superiore a 104 miliardi di euro all’anno. Su questo versante al Mef partiranno dal monitoraggio fatto dall’economista Mauro Marè su input del viceministro Maurizio Leo. Spiega Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera: «Confermeremo gli sgravi sulle nuove assunzioni, quelli al Sud e il Bonus mamme. Credo che ci siano i margini per fare un ragionamento sulle piccole spese fiscali, magari su quelle molto generalizzate, senza toccare il welfare». L’obiettivo è recuperare da queste agevolazioni — è assurta nelle ultime settimane agli onori della cronaca il bonus monopattini — un paio di miliardi di euro. Perché se è più complicato per esempio tagliare le detrazioni di natura energetico, sono più “aggredibili” la flat tax di 100 euro per i raccoglitori di erbe officinali o l’accisa zero per le miscele gassose biologiche autoprodotte.
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