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«La pace va costruita non basta invocarla»


L’elicottero da Roma atterra poco prima delle 10. Quando tra il prato e la piazza antistanti la basilica di San Francesco sono già radunate almeno un migliaio di persone. Aria frizzante, sole primaverile. «Il buon Dio ci ha aiutato col meteo», sorride fra Giulio Cesareo, impegnato a mettere a punto gli ultimi dettagli. Ad Assisi si celebra il “Poverello” nel giorno della sua «nascita al cielo», e il clima è di festa. Tanto più che la data del 4 ottobre è appena tornata festa nazionale col sì bipartisan del parlamento («non un capriccio o uno spreco di denaro», rivendicherà poco dopo Giorgia Meloni, «ma una scelta di identità»). Ma chi visto il contesto si aspettava dalla premier parole ecumeniche dopo giorni di clima caldissimo, è rimasto deluso. Perché quello che la leader del governo consegna dalla loggia della basilica inferiore una volta terminata la cerimonia religiosa è un intervento tutto politico. Tagliente, a tratti.

LA CITAZIONE
Parla per poco meno di un quarto d’ora, la premier, in diretta su Rai1. E in più di un passaggio pare rispondere alle accuse che da giorni le piovono addosso dalle piazze pro Pal, dalla Cgil, dalle opposizioni. E che la accolgono anche qui, ad Assisi, con una ventina di contestatori a sventolare bandiere palestinesi (ai quali però viene consentito l’accesso sul prato solo quando Meloni è già in chiesa da un pezzo). Lei prende in prestito le parole di San Francesco: «La pace non si materializza quando la si invoca, ma quando la si costruisce con impegno e pazienza. Un mattone dopo l’altro, con la forza della responsabilità e l’efficacia della ragionevolezza». È la linea che l’esecutivo ha ripetuto a tambur battente in queste settimane. Meglio lavorare come ha fatto l’Italia, «in prima linea nel sostegno umanitario» alla Palestina. «E sono fiera – scandisce la presidente del Consiglio – del contributo al dialogo che ha saputo dare il Paese, interlocutore credibile per tutti gli attori coinvolti. Senza cadere – ed ecco un’altra stoccata a Cgil e Flotilla – nella trappola della contrapposizione frontale, che pure molti invocavano, spesso più per interesse che per convinzione».

Adesso un piano per fermare le armi c’è: è quello proposto dagli Usa e condiviso da Ue, Paesi arabi e Autorità palestinese che «ha ricevuto una prima risposta positiva anche da parte di Hamas». Una «straordinaria occasione» per la quale «dobbiamo impegnarci tutti», ribadisce la leader di FdI: «Una luce di pace squarcia le tenebre della guerra».

Incassa più di un applauso, la premier. Specie quando elogia la virtù del confronto pescando ancora da San Francesco («un uomo estremo ma non un estremista», lo definisce). Il patrono d’Italia – dice Meloni – «ci insegna che si deve parlare con tutti», anche con «avversari e nemici». «Dove finisce il dialogo con chi è diverso, non ti piace o non la pensa come te, germoglia il seme della violenza, il virus della guerra». Parole che riecheggiano il messaggio anti-odio di Charlie Kirk, citatissimo dalla destra. Appena inizia a parlare però c’è anche chi la contesta: qualcuno le grida «Palestina», «vergogna». Lei in tutta risposta cita ancora il santo: «Ricordo che San Francesco insegnava anche il rispetto. Rispetto del confronto, del capire le ragioni degli altri». Menziona il piano Mattei, i progetti dedicati al Poverello d’Assisi. E chiude così, prima di salire di nuovo in elicottero: «San Francesco aiuti la nostra Italia».

IL SUDOKU
A Roma, intanto, la aspettano nuovi contatti per chiudere il sudoku delle prossime regioni al voto. Dopo la cena in casa con Matteo Salvini e Antonio Tajani, ieri Meloni ha risentito al telefono i due vicepremier, nonché Maurizio Lupi, per trovare la quadra. L’intesa sarebbe a un passo, ma non ancora chiusa. Anche se c’è chi assicura che entro oggi potrebbe arrivare la fumata bianca. Le caselle del centrodestra sarebbero ormai definite: in Veneto l’enfant prodige della Lega Alberto Stefani, in Campania il viceministro di FdI Edmondo Cirielli e in Puglia il civico Luigi Lobuono, ex presidente della Fiera del Levante.

Ma a rallentare le strette di mano incrociate sarebbero le «garanzie» chieste dal partito della premier, e non solo per la Lombardia dove i Fratelli d’Italia, tra due anni, esigono la guida del Pirellone. «Compensazioni» sarebbero state chieste anche per il Veneto, con alcune caselle chiave della futura giunta — la vicepresidenza e alcuni assessorati di peso come il bilancio — che FdI rivendica a gran voce, perché i numeri dei sondaggi parlano chiaro e premiano il partito di via della Scrofa. «La questione è questa: non è che domani Stefani arriva e può fare il padre padrone, alla Zaia. I tempi di Zaia sono finiti e non ci sono le condizioni per riportare indietro le lancette dell’orologio. Quindi va pure bene concedere alla Lega la presidenza, anche per consentire al governo di navigare in acque tranquille nei prossimi due anni. Ma i numeri dicono che FdI deve «ripigliass’ tutt’ chell che è ‘o nuost”», spiega un big del partito parafrasando una frase tormentone. E chissà che l’esempio di San Francesco anche qui non sia di ispirazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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