Dalle parole ai fatti. Come anticipato dal Messaggero nei giorni scorsi, il governo ha impugnato la legge regionale sarda sul fine vita. Lo ha fatto, come per quella toscana, nell’ultimo Cdm utile prima che diventasse impossibile il ricorso alla Consulta. Mossa dalla stessa ragione di fondo: l’intervento statale in materia di salute non è demandabile alle singole regioni. Senza eccezione per quelle a Statuto speciale. In buona sostanza: serve una legge statale sul suicidio medicalmente assistito. Legge che, al momento, è ferma al palo in Senato, e molto probabilmente lo rimarrà fino a quando la Corte Costituzionale non metterà chiarezza su tutte le casistiche. Con nuovi probabili rallentamenti in commissione alla luce della nuova impugnativa.
I contenuti della legge
Il provvedimento approvato dal consiglio regionale sardo, che ha adottato come testo base quello proposto dall’associazione Luca Coscioni, punta ad applicare procedure sui tempi per l’assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito per effetto della sentenza della Consulta del 2019. Garantendo assistenza sanitaria gratuita a coloro che — affetti da patologia irreversibile e dipendenti da trattamenti vitali — scelgano autonomamente e consapevolmente di accedere al suicidio medicalmente assistito. Un orientamento inverso rispetto agli emendamenti presentati dalla maggioranza al ddl sul fine vita, ora all’esame di Palazzo Madama, e che escludono il coinvolgimento del Sistema sanitario nazionale. Nella legge sarda sarà una commissione multidisciplinare a valutare i singoli casi (verificando la presenza dei requisiti sanciti dalla Consulta), anche mediante il coinvolgimento di un comitato etico territoriale.
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