Via della Seta, dieci mesi dopo: Giorgia Meloni da domani notte sarà in Cina per riannodare i fili di un legame commerciale che per l’Italia non può rompersi. La premier, senza cospargersi il capo di cenere per lo strappo diplomatico, ha infatti in mente di provare ad incardinare una nuova relazione, nella convinzione che gli investimenti cinesi possano stimolare la crescita economica al ralenti dell’Italia.
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LA VISITA
Tra domenica e lunedì quindi, incontrerà a Pechino il presidente cinese Xi Jinping, il premier Li Qiang e il Presidente dell’Assemblea del Popolo Zhao Leji, e prenderà parte a piazza Tienanmen ad un Business Forum assieme ad aziende di entrambi i Paesi. Al di là della tradizionale cortesia diplomatica o dell’interesse economico che è anche di parte cinese a causa dei nuovi dazi europei in arrivo, la missione è però tutt’altro che semplice. Né il tempo trascorso dal disimpegno italiano, né i viaggi preparatori (e riparatori) dei ministri Antonio Tajani e Adolfo Urso hanno abbassato del tutto la tensione. Uno stress ben manifestato non solo dai tentativi cinesi di inserire all’interno del Piano d’azione per il rafforzamento del Partenariato strategico globale 2024-2026 che sarà firmato in questi giorni un esplicito riferimento allo «spirito della via della Seta», dal fatto che i comunicati ufficiali di Pechino sottolineino come l’invito sia stato recapitato da Li Qiang (ignorando deliberatamente che fu il presidente Xi Jinping a farlo per primo al G20 di Bali, quando ancora la posizione italiana pareva in bilico) o che il livello di sicurezza a cui è stato sottoposto lo staff di palazzo Chigi è senza precedenti (a testimoniare una qualche mancanza di fiducia), ma pure dalle tante incognite che accompagnano la visita di Meloni. «Il primo segnale sarà vedere chi accoglierà la premier al suo arrivo» spiega una fonte diplomatica, «al momento non ci è stato comunicato». Il ministro degli Esteri, il solo ambasciatore o magari un delegato del Partito comunista si lascerebbero alle spalle sottintesi differenti, e presumibilmente, esiti più o meno favorevoli all’Italia. A palazzo Chigi c’è tanta attesa. La stessa Meloni nei giorni scorsi, dopo aver definito, «storica» la visita, ha confidato che «i tempi fossero maturi» per dare nuovo slancio al rapporto.
Fatto sta che fino al rientro di mercoledì prossimo (via Parigi, per un saluto alla Nazionale impegnata alle Olimpiadi) la missione proverà a risalire la china, sottolineando i rapporti secolari che legano i due Paesi (siamo a 700 anni dalla scomparsa di Marco Polo, e Meloni inaugurerà una mostra sull’esploratore al World Art Museum di Pechino) e la ricorrenza del ventennale del Partenariato bilaterale strategico globale lanciato nel maggio 2004 da Silvio Berlusconi. Ma soprattutto attraverso la disponibilità italiana – nel pieno spirito della presidenza del G7 come ponte tra Oriente e Occidente – a farsi in qualche modo garante di un più profondo accesso cinese al mercato europeo. Proprio la leva diplomatica di un G7 incentrato sulla «riduzione dei rischi» nei confronti della Cina piuttosto che sul «disaccoppiamento», nelle intenzioni di Meloni può essere la chiave, puntando su settori come abbigliamento, energia, industria chimica, macchinari e prodotti farmaceutici, e soprattutto sull’automotive. Già ad inizio mese sono stati siglati da Urso e tre aziende cinesi (Ccig, Jac Motors e Chery) degli accordi preliminari che, se confermati, porteranno ad importanti investimenti su territorio italiano. Si lavora, al pari di quanto già fatto da Xi durante le sue visite in Francia e in Ungheria, all’apertura di alcuni stabilimenti di produzione di veicoli elettrici che per Pechino avrebbero il pregio di spostare la produzione all’interno dell’Unione europea e aggirare i nuovi dazi compresi tra il 17,4 e il 37,6 per cento imposti da Bruxelles ai produttori cinesi.
GLI OBIETTIVI
Non solo. L’Italia lavora anche ad ottenere l’esenzione dal blocco all’esportazione di prodotti di origine animale dal Vecchio Continente a cui la Repubblica popolare pensa come risposta ai dazi europei, e alla firma di nuovi accordi di cooperazione fra istituti superiori italiani e cinesi. Il carattere economico del viaggio è evidenziato anche dalla cospicua partecipazione delle aziende italiane. Al Business forum in cui Meloni terrà un lungo discorso introduttivo prenderanno infatti parte Iveco, Piaggio, Prysmian, Dolce&Gabbana, Renzo Rosso, Prada, Zegna, Ansaldo Energia, Leonardo, Terna, Danieli, Eni, Snam, Trevi, Bracco, Cnhindustrial, Intesa San Paolo, Generali, Pirelli, Fincantieri e De Longhi.
Dopo gli incontri con Xi e Li a Pechino, prima di concludere il viaggio Meloni volerà a Shanghai, dove avrà un faccia a faccia con il segretario del Partito comunista di Shanghai, con Chen Jining. Un bilaterale non irrilevante (e fortemente voluto dal governo cinese) perché rappresenta una sorta di “scommessa” sul futuro dei rapporti con l’Italia. Non un’inezia se si considera che continuano i consueti movimenti militari nel mar Cinese e verso Taiwan, con Pechino alla ricerca di una nuova centralità diplomatica (basti pensare all’attivismo delle ultime settimane su Ucraina e Medio Oriente) e con gli Stati Uniti pronti ad alleggerire il proprio impatto in Europa in caso di vittoria di Donald Trump a novembre. Chen Jining è infatti da due anni parte del Politburo del Partito comunista e viene considerato il più in ascesa tra i politici vicini a Xi. Non a caso è stato lui ad a incontrare per primo il segretario di Stato Usa Anthony Blinken ad aprile scorso.
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