22.05.2025
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Technology

la minaccia dell’algoritmo e il futuro sempre più legato all’intelligenza artificiale


Il monopolio di Google nell’ambito dei motori di ricerca online è illegale. Lo ha decretato una sentenza del dipartimento di giustizia statunitense il 5 agosto scorso, concludendo un ciclo di indagini sul colosso di Mountain View cominciato nel 2020. È una decisione storica quella del giudice della corte distrettuale Amit Metha, ma stupisce fino a un certo punto. Molti dei leviatani della Silicon Valley sono infatti sotto l’occhio attento dell’antitrust sia oltreoceano sia in Europa, un braccio di ferro senza esclusione di colpi che — in questo caso — ha rivelato che Google ha pagato, solo nel 2021, 26 miliardi di dollari per essere il motore di ricerca definitivo su browser e smartphone, mantenendo quindi la sua posizione dominante sul mercato dei cosiddetti search engine.

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LE ISTITUZIONI

Questa scelta però dice molto di più della mancata attenzione che le istituzioni hanno dedicato al mercato tecnologico, che solo negli ultimi vent’anni si è rivoluzionato innumerevoli volte, plasmando la nostra quotidianità in modo radicale. Basti pensare che nel 2006 i dizionari internazionali hanno aggiunto il verbo “to google” a indicare lo svolgimento di ricerche su internet. E in Italia di conseguenza, con il termine “googlare”. Verrebbe da chiedersi dove sia la concorrenza di Google in un mercato che quest’ultimo domina per il 91%, seguito dal motore di ricerca Bing (di Microsoft) che invece ne detiene solo il 3,86%, e poi il servizio russo Yandex (1,34%), Yahoo! (1,24%), il motore di ricerca cinese Baidu (0,91%) e Duck Duck Go (0,62%). Il search engine di Mountain View viene utilizzato per 99 mila ricerche al secondo, ovvero per 8,5 miliardi al giorno. Cifre da capogiro che però suggeriscono una scomoda verità dell’era digitale: se non sei su Google non esisti. 
 Ma ora, cosa significa questa sentenza del dipartimento di giustizia? Il colosso di Mountain View, come già annunciato, cercherà di andare in appello, e quindi i tempi per una risoluzione di qualunque tipo si dilateranno certamente, con una decisione definitiva nel 2025, ma è plausibile anche il 2026. Quello che però si chiedono gli analisti ora, più della sentenza in sé, è quale potrebbe essere una possibile soluzione al monopolio che Google ha costruito negli anni tra accordi commerciali e il suo servizio diventato una necessità per tutti oltre che sinonimo della ricerca online. Una posizione che ha permesso al motore di ricerca di aumentare i prezzi delle pubblicità, nonché di siglare accordi segreti con Meta — scrive il Financial Times — per spingere i giovani sul social Instagram attraverso YouTube (di proprietà Google). Una mossa che andrebbe contro le sue stesse regole relative al marketing sui minori.

L’OBIETTIVO

Se l’obiettivo di raggiungere un internet libero e competitivo è nei desiderata delle istituzioni, il giornalista Paris Marx dice che questa sentenza «non salverà internet». Marx, in una puntata della sua newsletter Disconnect, parla proprio delle origini dell’antitrust, che nel 1911 ha smembrato il monopolio della compagnia petrolifera Standard Oil in 34 aziende. Ma scrive anche che una decisione simile potrebbe non accadere per Alphabet, la holding di Google.

Se per il caso Standard Oil c’erano limitazioni geografiche che hanno facilitato e reso efficiente la scelta, nel caso di Google è complesso stabilire come dividere l’azienda, visto che rilascia servizi cloud che sono oltre i limiti fisici e commerciali delle aziende tradizionali. Il giornalista aggiunge che uno degli aspetti su cui l’antitrust potrebbe intervenire sono proprio gli accordi multimiliardari con cui Google si assicurava di essere la scelta “obbligata”. Ma andando in quella direzione, altri colossi come Apple si troverebbero con un buco nel bilancio di miliardi di dollari, e aziende più modeste come Mozilla Firefox cesserebbero le proprie attività.

GLI INVESTIMENTI

È importante chiedersi se le intelligenze artificiali possono giocare un ruolo in questa (non) competizione tra motori di ricerca. E aprire nuove strade alla competizione. All’uscita di ChatGpt, infatti, Microsoft si era immediatamente lanciata nel mercato con investimenti verso OpenAi, integrando il suo chatbot all’interno di Bing. In futuro, quindi, la tradizionale ricerca “d’archivio” con parole chiave e tanti risultati da consultare potrebbe cambiare con l’aggiunta delle IA. Degli strumenti che, a domanda, rispondono. Il motore di ricerca diventerebbe quindi un assistente digitale come — in un certo senso — lo sono adesso Siri e Alexa, le “creature” di Apple e Amazon. Il futuro legale di Google è difficile da decifrare: ogni azione potrebbe non diminuire il suo monopolio ma, d’altra parte, il suo monopolio è una “risorsa” per tante aziende.

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