Non è la Rai. Non solo, almeno. Due istantanee raccontano il gelo che è caduto sul campo largo, l’alleanza del centrosinistra la cui salute viene messa in dubbio pure dai suoi protagonisti. «Il campo largo? Non esiste», si rassegna il verde Angelo Bonelli, altrimenti «avremmo una situazione differente. Ma ci stiamo lavorando, ci riusciremo». Il primo scatto della foto-storia del declino porta la data del 5 luglio: eccoli, fianco a fianco sorridenti, Giuseppe Conte ed Elly Schlein, con Maria Elena Boschi e il duo rosso-verde Bonelli e Fratoianni stretti per la photo opportunity, a depositare in Cassazione i due quesiti per il referendum contro l’Autonomia. Tre mesi dopo, altra immagine: stesso posto, stessi protagonisti (stavolta si consegnano 1 milione e 300mila firme contro la legge Calderoli). Ma a essere mutato – eccome – è il clima.
Elly e “Giuseppi” neanche si sfiorano: niente abbracci, niente pose, niente strette di mano. Neanche un saluto: la segretaria dem è al centro del gruppo, l’avvocato si piazza di lato. Poi lei resta a parlare con Maurizio Landini, lui si allontana per un punto stampa. E quando tocca a Schlein rispondere alle domande, è Conte a girare alla larga. Finita l’estate gloriosa dell’asse rosso-giallo, l’agosto in cui si prometteva (o si vagheggiava?) un nuovo centrosinistra unito sulla Rai, sul salario minimo, sulle Regionali con il sogno del 3 a zero, sognando la spallata a Giorgia Meloni: quello appena iniziato sembra piuttosto l’autunno del loro scontento.
Prima col voto sul Cda della Rai (altro scatto: Schlein sui divanetti del corridoio fumatori a Montecitorio furibonda con l’avvocato: «Noi siamo stati coerenti, qualcun altro no»), Conte, Bonelli e Fratoianni in Transatlantico a ribattere che «l’Aventino sul Cda non ha senso, lasciassero piuttosto le poltrone che hanno occupato per decenni». Poco dopo, un altro screzio tra Pd e M5S, stavolta sul ddl Lavoro. La scena è questa: le opposizioni provano a dare battaglia a colpi di emendamenti (53), tutti dichiarati inammissibili dal governo. Così i Cinquestelle lasciano l’Aula in segno di protesta. «Quando si tratta di ottenere poltrone in Rai, sempre presenti per votare. Quando invece non si parla di poltrone se ne vanno», il commento velenoso che arriva da qualche parlamentare dem. Pronta la replica degli stellati: «Il Pd usa le stesse parole utilizzate da Faraone», il renziano capogruppo di Italia viva. «Non vorremo che dopo la Rai, anche sul lavoro, il Pd si faccia dettare la linea da Renzi».
Eccolo, l’elefante nella stanza del centrosinistra. Il senatore di Firenze, con cui Conte non vorrebbe neanche prendere un caffè, e che Schlein invece punta a tenere nel campo del centrosinistra, consapevole che quale che sia il momento in cui si tornerà alle urne, per sperare di battere Giorgia Meloni ci sarà bisogno di tutto l’aiuto possibile. Lo stesso in Liguria, coi sondaggi per le Regionali che parlano di un testa a testa. Eppure proprio ieri si sono registrate nuove tensioni sulle liste liguri in via di definizione, per via della presenza di esponenti renziani nelle liste civiche (il simbolo di Iv non ci sarà).
LE TENSIONI
E così ecco che dal quartier generale stellato di via di Campo Marzio rilanciano l’accusa: «Se il Pd punta a un’alleanza strutturale con Renzi, sappia che noi non ci saremo». Accuse che dentro il Pd bollano come strumentali. «È Conte che deve decidere da che parte stare. È disposto a trattare col centrodestra per racimolare qualche poltrona, magari qualche direzione di telegiornale? O vuole costruire l’alternativa a Meloni?». Al netto dell’irritazione, i più vicini a Schlein giurano che la segretaria non cambierà i suoi piani. A meno che non lo faccia Conte. Quanto alla distanza nella foto di ieri, per ora, ci si scherza su, citando Modugno: «La lontananza è come il vento, spegne i fuochi piccoli ma accende quelli grandi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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