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La Lega rivendica il Veneto e Salvini zittisce Ceccardi: «Basta parlare di Vannacci»


ROMA Niente baratto. Se non fosse nato come partito del Nord, la frase tormentone “mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’” calzerebbe a pennello. La Lega tiene duro sul Veneto: obiettivo restare saldamente alla guida della Regione nel dopo Zaia. Nessuna concessione su Palazzo Balbi dove in pole, per via Bellerio, resta l’enfant prodige Alberto Stefani. E men che meno sulla Lombardia, cuore pulsante del Carroccio al voto nel 2028. La Lega, sulle Regioni che la vedono saldamente alla guida, intende tenere la barra dritta. Dopo Pontida punta a chiudere «bene», assicura Matteo Salvini ai cronisti al termine del Consiglio federale, appuntamento da lui presieduto ieri pomeriggio a Montecitorio e chiuso d’imperio dopo uno scontro al vetriolo con la “pasionaria” Susanna Ceccardi su Vannacci e la vannaccizzazione del partito in atto, il j’accuse dell’europarlamentare toscana.

Ceccardi non nomina l’ex generale — collegato da remoto ma rimasto silente — eppure lo tira in ballo con foga, puntando il dito contro la sua narrazione nostalgica, a cominciare dalla X mas: «non porta voti ma solo guai. È anacronistico essere antifascisti quando il fascismo non c’è più, figurarsi esser fascisti…». Parole che mandano su tutte le furie Salvini, che, «stanco di polemiche», l’avrebbe letteralmente zittita, mettendo fine a un federale terremotato dalla lite tra i due. Ma non è questo l’unico boccone amaro della riunione. Il ministro Roberto Calderoli, che sperava di piantare la bandierina dell’autonomia sul pratone di Pontida, è infatti costretto a rinviare: se ne parlerà solo a fine anno, ammette amaro. Il perché è facile dedurlo e Salvini lo spiega ai suoi: ci sono due regioni al voto al Sud — Puglia e Campania — l’accelerazione sulla riforma tanto cara alla Lega finirebbe per far perdere voti in due realtà dove il cavallo di battaglia del Carroccio viene usato dalla sinistra nella campagna elettorale contro gli avversari.

IL NO ALLE ARMI

La Lega è costretta a ripiegare su altre battaglie, entrambe da disputare sul terreno della manovra. La prima passa per il no alle armi, e pazienza se la premier Giorgia Meloni ha chiesto ai suoi alleati di non mettersi di traverso sul raggiungimento di obiettivi — leggi 5% del Pil al 2035 — rispetto ai quali non si può derogare. «Le maggiori spese per la difesa dovranno essere usate per la sicurezza interna. Obiettivo: presidiare e controllare treni, stazioni, mezzi pubblici, scuole e strade, non per inviare soldati italiani o per comprare armi e mezzi da usare all’estero», recita una nota del partito diramata a riunione in corso. A cui ne segue un’altra dove si caldeggia l’intervento «sugli extra profitti» per coprire «gli interventi a sostegno di famiglie e imprese» in legge di bilancio — per il Carroccio rottamazione delle cartelle e flat tax — colpendo «in particolare» le banche.

Sempre sulla manovra, Salvini si toglie un sassolino dalla scarpa riservando una stoccata all’altro vicepremier, Antonio Tajani: non si confronta nel merito, l’accusa mossa, preferisce parlarne sui giornali. E il taglio dell’Irpef di due punti, rimarca, «è una misura costosissima». Applausi. Il ministro Giancarlo Giorgetti non infierisce ma si limita a far di conto: per sforbiciare l’imposta come chiesto dagli azzurri servirebbero 4,5 miliardi, «i soldi che dovremmo destinare alla difesa: delle due, l’una», afferma pragmatico.

Sullo sfondo l’appuntamento di domenica a Pontida — presente anche Flavio Bolsonaro, senatore e figlio dell’ex presidente del Brasile — dove Salvini intende ricordare con tutti gli onori del caso Charlie Kirk, l’attivista Maga ucciso con un colpo d’arma da fuoco durante un incontro pubblico alla Utah Valley University. E così, mentre in uno stadio dell’Arizona si celebreranno i funerali del 31enne, sul pratone di Pontida — annuncia il leader della Lega — verranno indossate t-shirt in memoria dell’influncer tanto caro a Donald Trump. Il caso Kirk tornerà anche nel comizio di oggi ad Ancona, dove Salvini arriverà con Meloni e Tajani per tirare la volata finale al governatore uscente Francesco Acquaroli. Per il primo test elettorale d’autunno, mentre per gli altri 3 si continua a cercare la quadra. «Dopo Pontida» la parola d’ordine.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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