Dieci miliardi di euro in spese militari per centrare gli obiettivi della Nato. La riserva dell’esercito che si allarga e chiama in causa i civili: ingegneri, informatici, esperti di elettronica. E ancora, l’Italia che rispetta gli impegni con l’Ucraina ma chiede più spazio nell’Alleanza atlantica, aspira al comando delle missioni più delicate all’estero. Un documento sulla scrivania di Guido Crosetto apre uno spaccato sulla strategia del governo Meloni per la Difesa. Spiega per filo e per segno come comunicare ai cittadini un momento critico per la politica internazionale. Che chiederà sacrifici e sforzi forse inediti sul piano finanziario per stare al passo con l’Europa e le richieste di Donald Trump. O meglio i diktat.
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VERSO L’AIA
Manca un mese al summit della Nato all’Aia e il team intorno al ministro di Fratelli d’Italia mette subito in chiaro come il target del 2 per cento del Pil impegnato nelle spese militari sia solo «un punto di partenza». Al vertice con gli alleati il Tycoon chiederà di fare di più. Molto di più. Eppure già quel traguardo è «impegnativo» da raggiungere, si legge nel documento strategico per la comunicazione della Difesa visionato dal Messaggero. Conti alla mano, servono «altri dieci miliardi di euro». Da trovare subito, se è vero che oggi «l’Italia rimane tra i venti Paesi su trenta a non aver ancora raggiunto il livello previsto in Galles», al vertice della Nato del lontano 2014.
Insomma la strada è in salita e urge una “rivoluzione” di metodo per stare al passo con il gruppo di testa europeo. A cominciare da un imponente riassetto dell’esercito. Crosetto parla da tempo di una nuova riserva militare. Uomini e donne in divisa da reclutare per rimpinguare le fila delle Forze armate italiane come fanno gli alleati atlantici di fronte alla minaccia russa in Ucraina e ai confini Est dell’Europa.
Fra le righe della nuova strategia ecco prendere forma il piano. Il governo annuncia nero su bianco «la revisione della riserva» e in particolare della «riserva selezionata» che «negli ultimi 20 anni ha arricchito i nostri contingenti con professionalità specifiche quanto mai necessarie per gli scenari moderni». Ingegneri, per esempio, ma anche informatici e “hacker” di cui l’esercito ha disperatamente bisogno. Di qui la corsa ai ripari: la riserva sarà ora integrata «per numero e qualità con una ulteriore quota di completamento da alimentare sia con il personale che lascia il servizio attivo dopo una ferma prefissata sia, se necessario, con personale privo di pregresse esperienze militari». Tradotto: porte aperte ai civili.
In queste settimane il lavoro per quantificare la nuova riserva è entrato nel vivo. Un decreto della Difesa ha chiesto alle singole forze armate, dall’Aeronautica alla Marina, di “mappare” le carenze di organico. Sulla carta l’obiettivo, riferiscono fonti a conoscenza del dossier, è di formare una forza di diecimila uomini. Utile a intervenire, più che all’estero (dove invece sono spediti militari addestrati) negli scenari di crisi interni: terremoti, catastrofi. Perfino per un’emergenza nazionale come il recente blackout spagnolo, spiegano, servono professionalità da schierare — ad esempio informatici — che oggi invece mancano. Un senso di urgenza percorre il documento della Difesa.
Trenta pagine affacciate sulle tante crisi — Ucraina, Gaza, l’instabilità africana — che mettono il governo di fronte a «sfide complesse e incertezze globali», dalla «competizione per le risorse energetiche» nel Mediterraneo dove va in scena «la politica estera aggressiva della Turchia» alla «crescente instabilità in Medio Oriente» e alla «influenza cinese» nel Pacifico. Scenari dove l’Italia è presente, a volte a capo di missioni delicate come quella in Iraq.
Eppure non basta, lamenta il ministero di Crosetto auspicando «una postura più matura nei confronti delle operazioni militari». Ovvero? «La capacità di comando e controllo nazionale è spesso limitata al solo rischieramento e sostentamento logistico delle Forze, con un minimo coinvolgimento nei processi di pianificazione delle operazioni». Insomma l’Italia — è la tesi — conta troppo poco per il contributo che dà. «Serve più coraggio» è l’avviso ad uso interno e insieme rivolto al segretario della Nato Mark Rutte a poche settimane dal vertice fra alleati. «Il nostro personale viene inviato presso i centri di comando multinazionali ma si tratta di singole posizioni, spesso non in funzione di leadership».
«SIAMO NEL GIUSTO»
Non è facile, anche a destra, convincere gli elettori della bontà dello sprint sulle spese militari, mentre l’opinione pubblica si preoccupa di fisco, inflazione, sanità. Del resto le risorse sono limitate: lo sa Giorgetti che ha avuto un confronto franco (eufemismo) con la Difesa per perimetrare le spese Nato, chiedendo di includere capitoli al di fuori del mondo militare come la Guardia di Finanza e le capitanerie di porto.
Al governo comunque studiano un modo per vincere gli argomenti del fronte antimilitarista che è trasversale alle opposizioni e fa parecchi proseliti in casa Lega. Per «alleviare il senso di disagio che molti cittadini provano al pensiero che parte delle loro tasse sia utilizzata» per finanziare esercito e armi, è la linea dall’alto, bisogna ricordare che i soldati «difendono pace e sicurezza». E quando l’Italia si muove all’estero, chiude il documento con un guizzo retorico, «noi siamo dalla parte del giusto».
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