16.08.2025
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«Io, Rosario e Beppe nella casa dell’allegria. Il mio tumore? Ogni giorno di vita è guadagnato»


«L’estate che ha segnato particolarmente la mia vita? Ne citerei due: la prima è stata quella dei miei dieci anni che mi portò l’incontro con una famiglia milanese arrivata a Letojanni per le vacanze e che, a causa della penuria di camere e appartamenti da affittare, mio padre ospitò a casa nostra, che già era piccola per noi. Provate a immaginare: l’appartamento si trasformò un teatrino allegrissimo. E la seconda estate che ricordo è senz’altro quella del mio diploma. Mi sentii adulta all’improvviso. Guardavo il mondo con occhi più preoccupati e il futuro mi sembrava una grande incognita». A parlare è Catena Fiorello, autrice di romanzi di successo, conduttrice e autrice tv.
Perché proprio quell’estate al mare, a due passi da Taormina?
«L’incontro con la famiglia milanese, i signori Ceva, madre, padre e un figlio di cui non ricordo più il nome, fu un evento davvero straordinario nella mia vita perché ci ritrovammo all’improvviso a condividere i pochi spazi della casa di mia nonna Catena con dei perfetti sconosciuti. I Ceva all’inizio accettarono l’ospitalità di papà dichiarando che sarebbero rimasti solo qualche giorno. Ma si trovarono talmente bene con noi che si fermarono per tutto il mese di agosto. Mio padre finì per dormire su una sdraio sistemata sul terrazzo. Felice e contento. Amava dire che in una casa entrano tante persone quante ne vuole il padrone. E mise in pratica quel motto più volte nella vita, pur essendo noi sempre in emergenza economica. Eppure, io ricordo solo momenti belli».
Perché Letojanni?
«Letojanni è il luogo delle nostre avventure più belle. Papà è sepolto lì. Amava il suo paese oltre ogni immaginazione. E questo amore l’ha trasmesso anche a noi figli. Non abbiamo mai saltato un’estate lontani dal paese. Che sia giugno, luglio, o agosto, da Leto (lo abbreviamo per comodità) si passa sempre».
È vero che certi eventi dell’infanzia, ai quali al momento non diamo particolarmente peso, ci lasciano un segno indelebile?
«È inevitabile. Ciò che è accaduto durante l’infanzia, anche se qualche volta evitiamo di ammetterlo, condiziona le scelte future. Ripeto: anche quando ci costa riconoscergli l’importanza che ha. Non sempre si ricorda il passato a cuor leggero. Nel mio caso, nessun problema, anzi, ho una nostalgia incredibile di quell’età».
Quali sono gli altri luoghi preferiti delle sue estati, in famiglia o con gli amici?
«Gallipoli, in assoluto. Vivo gran parte dell’anno a Lecce e lì ho molti amici. Lontano dal frastuono dei locali alla moda, Gallipoli sa offrire anche esperienze tranquille. L’agriturismo in cui vado appena fuori dal centro è un’oasi paradisiaca. E poi amo molto Catania e i paesini etnei. A quell’altezza sembra di essere in Svizzera. Invece è la parte più bella della Sicilia. Lo dico sempre a chi viene per la prima volta nella mia terra: mettetevi in cammino verso i piccoli centri sui Nebrodi o le Madonie. Vedrete una natura incontaminata e indimenticabile. Altro che le solite mete bazzicate dai più».
Siete quattro fratelli che hanno scelto carriere diverse, ma ognuno a suo modo importanti. Ci parla del suo rapporto con loro?
«Cosa potrei dire di nuovo che non si sappia già? Siamo quattro fratelli, due maschi e due femmine (oltre a Catena, Rosario, Giuseppe e Anna, ndr). Abbiamo i rapporti normali che si hanno tra fratelli e sorelle, niente di diverso o speciale rispetto agli altri. Immagini una famiglia comune che non fa niente di eccezionale».
Lei è l’intellettuale del gruppo?
«Che non si dica mai la parola intellettuale riferita a me. Sono un’artigiana delle parole. Mi piace scrivere storie, consegnarle ai miei lettori. Saranno poi loro a dargli un verso, trarne delle emozioni o altro. Tant’è che alla parola scrittrice preferisco quella di «cuntastorie». Proprio come lo erano i vecchi che ascoltavo seduta sul muretto davanti a casa di mia nonna Catena a Letojanni nei pomeriggi d’estate e che mi incantavano con i loro racconti. È questo aspetto quello che cerco quando leggo o scrivo: ritrovare sentimenti e stati d’animo che ci colpiscono e sorprendono nella vita di tutti i giorni. I libri ci permettono così di entrare in mondi diversi dal nostro e dai quali, a volte, preferiremmo non uscire, perché, lì, ci sentiamo protetti».
All’inizio della sua carriera aveva avviato un’agenzia matrimoniale a La Spezia. Ce lo racconta?
«Era un modo come un altro per guadagnare mentre studiavo all’università. E le agenzie matrimoniali in quel momento vivevano un boom incredibile. È durata due anni, poi ho fatto altro. Ma è stata un’esperienza che mi ha insegnato tanto. Alla fine ho venduto l’attività a una mia cliente affezionata».
Poi suo fratello Rosario l’ha chiamata a Roma. La Capitale oggi è la sua seconda patria?
«Roma è la madre che mi ha adottata. Con grande calore. Roma sa accogliere senza fare domande, pretendere, o far pesare la sua ospitalità. Se dovessi definire la Capitale con un aggettivo, direi «generosa». Anche con chi non lo merita».
A chi è ispirato «Ciatuzzu», il suo ultimo romanzo?
«A tutti i bambini che in un modo o nell’altro non hanno potuto vivere la loro infanzia. E ce ne sono tanti, anche adesso. Basti pensare ai bambini che vivono nei paesi in guerra. Che colpe hanno? Eppure, devono sopportare dolori e lutti terribili, se non la propria morte, per l’avidità e la follia degli adulti».
Nella sua vita ha anche sconfitto un tumore. Le va di parlarne?
«Sconfiggere è un verbo che non userei. Preferisco «tenere a bada», perché non sappiamo mai cosa ci riserva il futuro. Il mio tumore al seno mi ha insegnato a non dare per scontato nulla, in primis la vita stessa. Ogni giorno è guadagnato. Per questo non vale la pena sprecare tempo dietro a problemi futili o inesistenti. Piuttosto, dobbiamo salvaguardare le energie per quando potranno servire. I conflitti, insomma, risolviamoli con un sorriso. Anche perché non è facile avere a che fare con chi invece tutti i giorni ha voglia di fare polemiche (stupide e inutili). Basta leggere certi commenti sui social. E allora, penso che sia più opportuno concentrarsi sulle cose serie, concedersi una scrollata di spalle, e guardare da un’altra parte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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